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L’album di famiglia: “Borgo” è Cortona?

La nostra Antonella Scaramucci introduce la recensione di Caterina Falotico su di un gradevole libro opera di una ex cortonese trapiantata ad Oxford, resoconto piacevolmente godibile quanto la crostata “tosco-materana” di cui potremo conoscere la ricetta leggendo fino in fondo.

 

Ci arriva da Oxford e a Oxford è stato scritto, ma è evidente che il cuore di chi l’ha ideato, se pur trapiantato ormai da alcuni decenni in quell’illustre città, è inguaribilmente carico di tenerezza e nostalgia per la sua città di origine: Cortona.

Ha un bel darsi da fare Valentina, l’autrice del libro Valentina Olivastri (a questo link il suo sito ufficiale) intendo, a smentire che anche questo suo terzo romanzo sia ambientato a Cortona e a cercar di convincere di ciò i lettori mettendo in bocca ad una delle protagoniste del libro un dialetto che, almeno a me profana in materia, appare molto più simile al senese o al fiorentino che a quello della sua città natale. I cortonesi che si diletteranno a leggere con attenzione il testo non ci cascheranno: troppo simili a quelli di Cortona sono i paesaggi e i tramonti descritti, troppo carica di amore per l’arte e la cultura è il clima in cui si muovono, e troppo somigliante all’originale è uno dei personaggi perché non possa esser riconosciuto dagli amanti di una certa Cortona “culinaria”.

Se “Borgo” non è Cortona, bisogna ammetterlo, a Cortona è però molto simile.

Leggete il libro e ve ne accorgerete…

Poiché però potrei sembrare a chi legge affetta da una certa “partigianeria” visto e considerato che Valentina è una mia carissima amica, e tenuto conto che con una mia misera e dilettantistica analisi critica del testo potrei rischiare di sminuire l’opera di questa persona a cui tengo, lascio a Caterina Falotico, una studiosa perfettamente competente in materia poiché esperta di letteratura contemporanea ed in quanto tale collaboratrice di riviste letterarie di riconosciuto valore come «Oggi e domani» «L’Immaginazione», «Forum Italicum», «Misure Critiche», «Critica letteraria», il compito di farvi apprezzare appieno questo piacevole romanzo che, complice anche una preziosa quanto graziosa copertina di cui è autore il pittore Paolo Gheri, riesce a trascinarci in un inebriante clima che profuma tanto di verdi primavere e di estati spensierate. Buona lettura!

 

IL BORGO IN UN DIVERTITO SPAESAMENTO

Mi chiamo Edith Philippa Everard de Winton Strange. Lo so. Ho un nome che sembra una balbuzie per bocche svagate, quasi un leggero malessere capitato a uno dei trentatré trentini che entrarono in Trento tutti e trentatré trotterellando. Tuttavia, a Borgo nessuno ha mai preso sul serio questo borioso ghirigoro di sillabe. Qui, tutti mi chiamano solo e semplicemente Edi”. Con queste parole la protagonista e io narrante dell’ultimo libro di Valentina Olivastri, L’album di famiglia, si presenta al lettore rivelando immediatamente la cifra del suo raccontare: una brillante autoironia tutta british mescolata a un’arguzia da maledetti toscani per dire di una materia ad alto potenziale emotivo e sentimentale com’è quella che tratta di memoria, identità, appartenenza comunitaria. Perché Edi è l’approssimazione dell’autrice, non proprio il suo alter ego, in quanto per metà italiana, meglio cortonese, per metà inglese, come dimostrano le sue passioni oscillanti fra il caffè e il giardinaggio. La doppia identità le consente un euforico divertito spaesamento proprio di chi non è straniera né del luogo, ma, mettiamola così, “un’inquilina con contratto senza scadenza”. Ha quarant’anni, fa la giornalista, ha un matrimonio alle spalle che non le ha tolto il gusto di interessanti avventure erotiche, quelle rigorosamente con un biglietto di andata e ritorno, per non rischiare l’irritante routine coniugale fatta di dentifrici schiacciati male e di biancheria intima disseminata qua e là come le briciole di Pollicino che conducono al talamo nuziale. E se l’è venuta una crisi di mezza età, nemmeno questa ha toni drammatici, basta cambiare aria e magari lasciare Londra per un tuffo nel passato dell’infanzia toscana. Il tema delle radici assai presente in quest’opera è sottratto a ogni patetismo, quasi una bizzarria, “una voglia da soufflé mal riuscito […] di voler appartenere […] al paese della mia infanzia, della mia pigra e indolente adolescenza giallo zafferano”. Un’intelligente distanza fra vita e scrittura dà al racconto un’aria di rarefatta leggerezza che, come si vede dalle vicende narrate, non ignora l’opacità del vivere, le ombre e i misteri di cui sono fatte le vite degli uomini, non solo, ma anche i luoghi e perfino gli oggetti quotidiani come può essere un album di fotografie. Quando Edi ne trova uno sui banchi della fiera antiquaria di Arezzo, percepisce la sua natura sfuggente e misteriosa fatta di pieni e vuoti, di spazi bianchi da colmare “tra un gruppo di famiglia e l’altro. Storie dentro una bottiglia, impigliate in chissà quali acque”.

Il tema del labirinto ricorre nei precedenti romanzi ed è non a caso legato ai luoghi di trasmissione della memoria: la biblioteca Tomasini-Renzi di Bardiano – località che come Borgo rappresenta il luogo di origine della scrittrice – in Prohibita imago (Oscar Bestsellers 2010); la parigina Fondazione Duval in La donna del labirinto ove la memoria ha il suo corrispettivo nell’oblio, fino al più umile album fotografico, in cui si materializzano il ricordo e la rimozione.

L’album in questione è un regalo destinato al suo redattore capo – ne è un appassionato collezionista – che ha offerto ad Edi una rubrica per il supplemento del weekend, il cui argomento è il cibo collegato alla grande invenzione del turismo culturale. Di qui il susseguirsi di riferimenti che strizzano l’occhio all’antropologia da un lato e all’attuale costume che enfatizza le radici identitarie (“tutti piatti popolati di dense memorie, di sapori assolati tra arcadia e mattatoio”). Anche qui una sottile ironia non disgiunta dal piacere della convivialità e dell’eros. Edi ritorna a frequentare Luca, ai tempi suo ragazzo e ora proprietario di un ristorante, ma si guarda bene da un ritorno di passione che metta a rischio una insolita e consolidata complicità. La passione, vissuta sempre con disincantata distanza, prende invece la protagonista per il bel Lorenzo approdato dalla lontana Matera a Borgo dopo la morte improvvisa dello zio, il viveur Ludovico Franceschi al centro di uno scandalo borghigiano apertosi proprio con l’apparizione del famigerato album di famiglia. A questo punto saltano certezze, dati biografici, vengono alla luce segreti inconfessabili, che rivelano la natura ambigua della famiglia e della comunità borghigiana, avvicinando il micromondo all’universale comédie humaine.

Il borgo gode di un ritorno di vita all’interno della produzione letteraria attuale e si lega alla dialettica, in ambito sociologico, fra locale e globale, crescita e decrescita, modernità e tradizione. Su questa linea si muovono scrittori come Franco Arminio, Vinicio Capossela, Mimmo Sammartino, Carmen Pellegrino, interpreti dello spirito del tempo e di una nuova coscienza che è insieme storica ed ecologica. Borgo vive in queste pagine di un’assolutezza esemplare, paradigmatica, in quanto luogo ove “la vita ha un tepore distrattamente sottile, un andamento che adesca con tripudio di aromi e di colori. L’aria ha un sapore domenicale e nessuno è ansioso di futuro”. Salvo poi a ridefinire gli spazi che intercorrono fra utopia e realtà, quando un oggetto inquietante ci interroga e ci spiazza nelle consolidate certezze.

Caterina Falotico

 

Valentina Olivastri, l’autrice del libro sopramenzionato e Caterina Falotico autrice della recensione che avete appena letto, in qualità di orgogliose rappresentanti delle tradizioni culinarie delle loro rispettive terre di origine, Cortona e Matera , propongono ora come “dulcis in fundo” la ghiotta ricetta di uno dei numerosi piatti menzionati nell’Album di famiglia, facendola introdurre direttamente da uno dei personaggi:

«Via, lo dico io così non ci si pensa più», intervenne Luca che, essendo andato a prendere l’ingrediente fondamentale, si sentiva in parte artefice. «La crostata con la ricotta di pecora. Ganza, no? Un po’ toscana e un po’ materana.»

CROSTATA DI RICOTTA

Ingredienti per la pasta frolla

300gr. di farina 00

100gr. di zucchero

2 uova intere

un limone grattato

100gr. di burro o margarina

Pan degli Angeli

Mettere insieme lo zucchero e la farina, fare la fontanella e nel mezzo versare le uova, il limone grattato, un cucchiaino colmo di Pan degli Angeli e il burro sciolto a bagnomaria e raffreddato. Lavorare in una coppa con la forchetta e poi con le mani, facendo una palla, senza però insistere troppo. Basta solo amalgamare gli ingredienti.Più della metà della pasta frolla serve per foderare la teglia, laltra metà per le strisce, che vanno prima arrotolate e poi schiacciate col matterello.

Ripieno

mezzo chilo di ricotta di pecora

100gr. di zucchero

3 tuorli di uova(bianchi a parte)

Mezzo bicchierino piccolo di liquore Strega

Amalgamare ricotta e zucchero; aggiungere i tuorli e il liquore e mescolare. A parte montare a neve i bianchi delle tre uova del ripieno e con delicatezza mescolare il tutto. Versare sulla pasta frolla il composto e completare con le striscioline di pasta frolla di cui sopra. Infornare a temperatura 200 gradi circa per 30 minuti

Antonella Scaramucci

Vi chiederete il perchè di questa foto. Beh, prima di tutto perchè crescendo sono peggiorata. E poi perchè, dovendo parlare di Pinocchio e delle origini cortonesi di Collodi, è bene tornare ai tempi in cui il mio babbo Folco me lo leggeva alla sera, facendosi (pure lui) delle grosse risate

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Antonella Scaramucci

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