Quando si parla di vestiti e di moda il detto “L’abito non fa il monaco” viene smentito clamorosamente in qualsiasi epoca storica ed in qualunque parte del mondo, anche nel Medioevo ed anche a Cortona. Lo ha spiegato ieri il prof. Franco Franceschi, docente di Storia Medioevale dell’Università di Siena, presso il distaccamento di Arezzo, nella sua conferenza “Vesti, leggi suntuarie e moda nelle fonti toscane del Tardo Medioevo” tenutasi nella Sala del Consiglio comunale ed aperta dal saluto del Presidente del Consiglio dei Terzieri di Cortona , Riccardo Tacconi, e dell’assessore alla Cultura Albano Ricci.
Si tratta del terzo appuntamento di un ciclo di incontri sulla società e la cultura medioevale cortonese, organizzati dal Consiglio dei Terzieri di Cortona in collaborazione con il Comune di Cortona e l’Università di Siena, curati dal Dott. Simone Allegria, dell’Università di Siena, ed intitolati “Archidado tutto l’anno”.
Come vestivano dame e cavalieri nel Medioevo è presto detto.
Fino al 1200 vestirsi era considerato una necessità più che un vezzo. Coprire le nudità e ripararsi dal caldo e dal freddo erano le priorità e l’abbigliamento maschile poco differiva da quello femminile nelle linee e nelle fogge.
Dal 1200 in poi le classi agiate iniziano a trasferirsi in città e, inevitabilmente, si fanno influenzare dallo stile di vita urbano. Città come Firenze aumentano di sei volte la loro popolazione. Arezzo e Cortona la raddoppiano. Le botteghe artigiane si moltiplicano, anche quelle che fanno tessuti e creano abiti. Lana, seta e cotone vengono importati rispettivamente dall’Inghilterra, dalla Grecia e dal Mar Caspio, dalla Palestina dalla Siria dall’Egitto. A Firenze si lavorano lana e seta, a Lucca la seta. Arezzo e Cortona si specializzano nella lavorazione del cotone. In particolare, nel cortonese si producono filo, fodere e velo.
Vestirsi diventa una “moda”, un privilegio sociale, desiderio di esibirsi, di rimarcare le differenze sociali. Il modo di vestirsi dell’uomo comincia a differenziarsi completamente da quello della donna.
Le Novelle e le Cronache del 1300 parlano di uomini con indosso farsetti e gonnelle. Un abbigliamento di derivazione militare che segue le linee del corpo e mette in risalto le spalle e il torace, stretto in vita da cinture che hanno funzione di abbellimento oltre che di reggere la borsa. Le calze sono vivacemente colorate, spesso a strisce. Sono i giovani, più di tutti, a seguire la moda ma anche i bambini, fino ad allora abituati a larghi camicioni, cominciano a vestirsi come piccoli uomini.
Abiti aderenti anche per le donne, che mettono in evidenza le linee del corpo, scollati da spalla a spalla, con lunghi strascichi, bottoni preziosi in oro, perle, corallo, calzature dalle punte allungate, bordure in pelliccia, ricami con fili d’oro e pietre preziose.
Inevitabile la condanna della Chiesa per queste forme di “disonesta esibizione del corpo”. Bernardino da Siena nelle sue predicazioni mette all’indice i farsetti degli uomini così aderenti da lasciare scoperto l’ombelico e le calze separate che rendono visibili certe parti intime maschili. Condanna un abbigliamento che, per entrambi i sessi, considera scandaloso, in quanto esalta l’anatomia del corpo e immorale per la carica seduttiva che emana.
Anche i governi delle città Toscane sono costretti ad intervenire con Leggi suntuarie, sull’abbigliamento, e sanzioni pecuniarie per cercare di contenere una eccessiva ostentazione del lusso, arginare una certa licenziosità negli abiti, porre un freno alla smania consumistica che minaccia i patrimoni economici delle famiglie nobili.
A Siena viene proibito il velo perché non rende riconoscibili le donne che lo indossano.
Addirittura nel 1400 si parla di leggi suntuarie necessarie ad arginare il declino demografico. Maritare una figlia, infatti, era diventato oneroso e questo aveva fatto calare il numero dei matrimoni mettendo in crisi la crescita demografica delle piccole e grandi città.
Cortona, nel suo Statuto (1325/1380), la cui recente traduzione è stata curata dal Dott. Simone Allegria, pone dei divieti nell’abbigliamento atti ad evitare ornamenti superficiali , lusso eccessivo, come ad esempio cinture e ghirlande al di sopra di un certo valore. Niente fodere in pelliccia per le dame cortonesi, simbolo di spreco ed inutile sfarzo, nè tessuti rigati o quadrettati multicolore o con disegni di animali e uccelli, né maniche di due colori o troppo lunghe. Per le vedove, poi, si proibiscono colori come il rosso, il giallo ed il verde. Nero rigoroso per le donne che hanno perso il marito, eccezion fatta per quelle appartenenti alle classi più povere. Nello stesso Statuto il governo di Cortona prevede un apparato che vigili, la domenica e nei giorni festivi, nei luoghi “dove si tengono congregazioni di donne” affinchè le limitazioni nel vestiario vengano rispettate.
Interessanti le reazioni degli artigiani-sarti, multati insieme ai loro clienti in caso di abiti “fuorilegge”.
Le leggi suntuarie, è evidente, pongono un serio freno alle loro floride attività e, nelle cronache del tempo si legge di proteste e petizioni in diverse città toscane. Lamentano, soprattutto, le eccessive restrizioni sulla quantità di stoffa da poter usare per la realizzazione di un abito, che non tengono conto, secondo loro, delle diverse taglie di dame e cavalieri e delle diverse altezze delle stoffe stesse.
La proibizione, però, non distrugge il mercato della “moda” toscana del Tardo medioevo che, anzi, trova nuovi stimoli nella creatività e si orienta, con successo, verso le esportazioni. I veli realizzati a Cortona, per esempio, giungeranno Avignone, Costantinopoli …e dal ‘300 il gusto del bel vestire italico invaderà il mondo.