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Il presepe provocatorio del Santuario del Calcinaio

Il periodo natalizio si contraddistingue, dalle nostre parti, non solo per le svariate attività ludiche e commerciali, ma anche per l’antica tradizione dei presepi, che in questi giorni attirano l’attenzione di turisti e locali. Tra i presepi allestiti nelle chiese cortonesi, quello che certamente si guadagna il titolo di più provocatorio trova spazio nel Santuario di Santa Maria delle Grazie al Calcinaio.

Sotto la maestosa cupola di Pietro di Domenico di Norbo (1509-1514), il parroco don Ottorino Cosimi ha infatti voluto proporre un allestimento atipico, in polemica con la commercializzazione e la banalizzazione del Natale che si fa in quest’epoca.

Sull’ambone è riportata una singolare rilettura del Vangelo di Luca (2,10): «L’ANGELO DISSE ai pastori: non abbiate paura del… NATALE! nascerà per… voi il “SALVATORE”!». Sulla destra compaiono quattro ceri quali poggia un presepe dipinto su vetro. I ceri, che nella liturgia indicano il percorso dell’Avvento (da cui il numero di quattro), «oggi rischiano di non indicare più un cammino; il presepio rimane arretrato, quasi uscito di vista, smarrito per via, non è più centro del Natale».

Davanti all’altare compaiono due belle statue raffiguranti la Madonna e San Giuseppe, ma non c’è il bambinello. Troviamo infatti una composizione grafica con le immagini di un campo di concentramento e del piccolo Ailan Kurdî. Nato nel 2012 a Kobanê (Siria), morì nel 2015 nel tentativo di raggiungere l’isola greca di Coo/Kos. Il gommone che accompagnava la sua famiglia era stato progettato per 8 persone, ma a bordo ce ne erano più di 20, al punto che si capovolse. Come Gesù, Ailan è nato povero ed è stato costretto a fuggire dall’odio degli uomini. Come i Magi, la sua famiglia voleva raggiungere l’Occidente, seguendo la stella di una vita migliore.

«Lo troverete in una s…piaggia» è inscritto sotto al corpicino di Ailan, perché invece che in una stalla, questo triste presepe vede il suo Bambinello disteso su una spiaggia.

Alla base della composizione, un riferimento ironico e doloroso al consumismo che ci fa chiudere gli occhi di fronte a queste tragedie: «LA CASA DI BABBO NATALE». Come a dire che spesso, invece di agire, riduciamo il Natale ad una parentesi di abbuffate e acquisti, mentre dovremmo ripensare alle origini umili di questa celebrazione.

Il messaggio di don Ottorino è riassunto nel pannello a destra dell’altare:

CI HANNO RUBATO IL “NATALE”. Parla il padre di Ailan e Galip: “ho tentato di salvare i miei figli. Li stringevo entrambi, quando la barca si è capovolta e un’onda ha ucciso Galip, poi si è presa anche il più piccolo. Anche mia moglie Rehan è…con loro. Volevamo raggiungere l’Europa. Avevo raccolto 4 mila euro per il viaggio. A metà della traversata, la piccola barca di appena 5 metri…è stata capovolta. Il trafficante allora è saltato in mare, lasciandoci soli a lottare con la morte.

Un commento così duro, così diretto, fa tornare alla mente le parole del poeta e sacerdote David Maria Turoldo (1916-1992), che alla domanda su cosa fosse il Natale rispose, nel 1986:

«Davanti a una simile domanda non so se vergognarmi o ridere. Così, a primo impulso. E invece, Lei ha ragione: c’è proprio da domandarsi cos’è il Natale; e se perfino noi cristiani sappiamo cosa sia veramente il Natale. Soprattutto, cosa abbia a che fare con il vero Natale di Cristo questo nostro modo di celebrarlo: in queste città impazzite per commerci e traffici; e scialo di luminarie, e ostentazioni di ricchezze, eccetera, c’è da domandarci sul serio cosa significhi per noi Natale: se si può ancora pensare che da noi Cristo continui realmente a nascere, a prendere corpo in una società come la nostra. […] E però al di là del dubbio e del contrasto, al di là del sospetto che siamo davvero su vie sbagliate, al di là di ogni mercato, […] ritorni ad apparire qualche segno di maggiore umanità nei nostri rapporti, in queste nostre città sempre più ‘senza Dio’. (Non dico atee, dico ‘senza Dio’ che è molto diverso: se non altro per quel tanto di drammatico che c’è solitamente nell’ateo; invece ‘senza Dio’ dice soprattutto indifferenza, noncuranza, non-pensiero, quando non dica addirittura cinismo)».

Alessandro Ferri

Quando non si deprime, dimostra doti da intrattenitore e intellettuale della Magna Grecia. Si consola delle abituali sconfitte ascoltando quintali di musica.

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Alessandro Ferri

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