Che indossi l’armatura o un paio di pantaloni e una camicia a quadri, che cavalchi Ronzinante per le terre de La Mancia nel 1600, combattendo giganti travestiti da mulini a vento o che affronti un mostro “virtuale” del XXI secolo con le armi dei social, Don Chisciotte si conferma personaggio universale e piace e convince nella riscrittura teatrale di Nunzio Caponio, “Don Chisci@tte”, andata in scena al Signorelli di Cortona.
A vestire i panni di Don Chisciotte e Sancho Panza, nello spettacolo che mette la “@” al capolavoro di Cervantes, Alessandro Benvenuti e Stefano Fresi.
Se la “fisicità” del duo rimanda a pieno alla descrizione di Cervantes di un cavaliere alto e magro e uno scudiero basso e tondo, e anche il tema conduttore dello spettacolo resta la lucida follia di un visionario che combatte al sua solitaria e incompresa battaglia contro la degenerazione di una società corrotta, per il resto, il testo di Caponio, adattato e diretto da Davide Iodice, vive di vita propria.
Liberamente ispirato a “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes, Don Chisci@tte è un Youtuber dei giorni nostri. Un po’ bislacco, ossessionato da piani complottistici dei “giganti” delle multinazionali che, come un enorme buco nero, stanno lentamente ma inesorabilmente inghiottendo tutto e tutti.
Sancho, suo figlio, si sforza di capire i ragionamenti del padre, a tratti lo asseconda, ne subisce l’influenza senza restarne vittima, gli resta vicino come un fido scudiero, lo protegge dalla sua stessa pazzia con amore di figlio.
In un dialogo serrato, delirante, mai grottesco nè sovrabbondante, Don Chisc@tte/Alessandro Benvenuti ci “schiaffeggia” dal palcoscenico denunciando l’immobilismo in cui siamo piombati. Vittime di un mondo virtuale che ci vuole rane assuefatte al calore in una pentola di acqua che diventa sempre più bollente e che finirà con l’ucciderci senza che facciamo nulla per salvarci! Sancho/Fresi, controbatte, sdrammatizza, ma resta al fianco del suo cavaliere. Un po’ ci rappresenta quando tenta di convincere se stesso e il padre che questo società gli piace…che se ne sente parte attiva e non vittima ma poi…infondo… non ci crede tanto nemmeno lui!!!
Dal rifugio dove registra i video che poi mette in rete su You tube, Don Chisci@tte, si affanna a “reclutare” cavalieri, senza paura, in una lotta per una società diversa.
Chiede al popolo del web di combattere insieme a lui, di “riattivare i neuroni” e imbracciare l’unica arma che ancora può salvarci: l’amore.
E il giuramento del “cavaliere quantico” recita appunto “… giuro di essere costantemente innamorato…di combattere in nome del bello… di amare e desiderare il bello per sé e per gli altri…”
Ci mette in guardia, tutti, Don Chisci@tte, in primis il pubblico in sala, a cui il palcoscenico resta volutamente aperto, senza sipario, dai “mostri” del nostro tempo, l’omologazione e l’appiattimento, e da una società consumistica che ci vuole “zombie”, vivi fuori e morti dentro.
La scena, di Tiziano Fario, è essenziale. Una telecamera, il computer una sedia, la brandina per la notte, un sacco da box per allenarsi al combattimento contro un “mostro” che si sa già imbattibile.
Le armature stile samurai, pensate e realizzate da Daniela Salernitano, messe assieme con cuscini e ciarpame, spiccano nel grigiore illuminato da neon intermittenti… e ogni volta che le esercitazioni alla battaglia partono, scandite dal suono del campanello di una bicicletta appesa al muro, ci sembra di rivedere Don Chisciotte combattere con i “mulini a vento”, con la visiera di cartone abbassata e il fido scudiero al suo fianco.
La saracinesca del garage, unico contatto con il mondo oltre al computer, è anche la porta sulla battaglia finale che Don Chisci@tte affronterà da solo, vittima dei suoi ragionamenti, della sua ingenuità e del suo desiderio di cambiare il mondo.