Domenica 22 aprile al Teatro Poliziano, ore 21.15, il pubblico potrà partecipare a una serata teatrale diversa dal solito. Le Vie del Teatro in Terra di Siena in collaborazione con la Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano offriranno l’occasione di assistere a una prova aperta dell’ultimo lavoro di Marco Filiberti, Intorno a Don Carlos: prove d’autenticità.
La prova – nuda essenza dell’accadimento, spogliato di tutti gli aspetti allestitivi quali scene, costumi, luci – sbalza in primo piano i corpi poetici degli attori, la semiotica di uno stream coreutico che si fa drammaturgia composita e la forza pura della parola, consentendo allo spettatore di connettersi con il magma emozionale centrale del lavoro creativo.
Spiega Filiberti, che firma regia e drammaturgia dell’accadimento teatrale per piccolo organico a cinque personaggi, ispirato al Don Carlos di Friedrich Schiller e nato al termine di due residenze creative al Teatro Moriconi di Jesi e al Teatro degli Avvaloranti di Città della Pieve: “non è solo uno spettacolo di prosa ma un compendio di diverse forme espressive, un universo dilatato che coinvolge tutti gli aspetti dell’artista sul palcoscenico”. Nella rilettura dell’opera che propone, confluiscono temi cari al primo Romanticismo e insoliti scenari contemporanei con un linguaggio che, fondendo poesia, letteratura, pittura, musica, cinema, teatro ed elementi di danza contemporanea, perviene a risultati di indubbia originalità.
Ancora una volta l’autore e regista, noto al pubblico per film di successo come Poco più di un anno fa – Diario di un pornodivo, Il compleanno, Cain, pone al centro del suo lavoro il dissolvimento degli archetipi nella selva della modernità e la ricerca delle perdute sorgenti della sacralità del mondo.
La drammaturgia, nel percorrere trasversalmente la Storia – fuori e dentro Schiller, nel ‘500 spagnolo, nel ‘700 tedesco, nel nostro tempo – porta in primo piano un nodo intricato della coscienza contemporanea: l’annientamento dell’essere umano e il trionfo della dittatura della mediocrità. Nel testo, presentato come un kammerspiel ad alta tensione, radicalmente autonomo ma al contempo sentitamente connesso con le ragioni escatologiche del sublime schilleriano, il dramma storico-politico si trasforma in uno psicodramma contemporaneo incentrato sulle insidie insite in qualsiasi forma di Sistema e di Potere, incluse le sedicenti democrazie. Quel senso di soffocante claustrofobia presente nel dramma di Schiller è qui teso ad un trasferimento empatico del “controllo totale” che i sistemi consumistici esercitano su ogni singolo individuo.
Nella corte di Filippo II, l’infante Don Carlos, eccentrico ed epilettico, è accusato di avere una relazione incestuosa con la matrigna, la regina Elisabetta di Valois. Grazie all’aiuto dell’amico Rodrigo, marchese di Posa, il profondo e confuso desiderio di autenticità di Carlos viene indirizzato verso la liberazione dei popoli delle Fiandre, oppresse da suo padre, il re Filippo II; ma il complotto di corte, guidato dal Duca d’Alba, avrà la meglio sulla instabile sensibilità del principe e sui progetti escatologici di Rodrigo.
L’azione, che sfocia in dieci grandi scene “a due” è affidata a cinque giovani interpreti, Matteo Tanganelli, Diletta Masetti, Stefano Guerrieri, Luca Tanganelli, Giovanni De Giorgi, pronti ad affrontarsi in singolari tenzoni aperte sulla possibilità di essere nel mondo senza essere del mondo. Al centro di questa esperienza artistica si evince più che mai il lavoro sull’attore che Filiberti esperisce da alcuni anni, in dinamico equilibrio tra l’afflato comunicativo di Eros e una rigorosa ricerca formale, tesa a salvaguardare il registro del sublime e la sua intrinseca tensione etica, estetica ed emotiva.
La scelta di evocare un contesto storico oscuro e repressivo come il regno di Filippo II diventa metonimia della claustrofobica assenza dell’uomo contemporaneo – assenza di meta, di radici, di grazia, di bellezza, di spazio, di silenzio – prigioniero nella gabbia omologante approntata dai “Duca d’Alba” della Storia, non-luogo di definitivo collasso di ogni palpito individuale e di tutte le istanze escatologiche degli spiriti magni dell’Umanità. E in questo clima si colloca la vicenda dei personaggi dei quali qui interessa indagare non tanto il dramma storico – che certamente sussiste, ma sullo sfondo – quanto piuttosto quello di quattro solitudini a confronto: una tragedia di silenzi, generata dall’impossibilità di comunicare ove non ci sia possibilità di essere.
Della complessa figura dell’Infante di Spagna emerge la sua disperata ricerca di autenticità e di felicità e la sua incapacità di comprendere le ragioni imposte dagli uomini capaci di trasformare un sogno puro di libertà e d’amore in un sentimento di colpa. Per Filiberti, Carlos rimane l’espressione di un amore elemosinato e marchiato dal senso di colpa (quello del tradimento e dell’incesto), questuante di un affetto negato sin dall’infanzia, incapace di crescere per paura di confrontarsi con un archetipo maschile – quello paterno – terribile e oscuro, al quale si sottrae rimanendo per tutta la vita un bambino orfano. Ma Carlos è ancora maggiormente emblema di un sogno utopico, di un mondo giusto e luminoso nel quale trasferire tanto la sua proiezione individuale, l’amore per Elisabetta e per Rodrigo, quanto quella storica, la salvezza delle Fiandre e, in qualche modo, dell’intera umanità.