In “Per non morire di mafia” l’attore siciliano Sebastiano Lo Monaco veste i panni del procuratore nazionale antimafia. Il primo incontro con Falcone, il maxiprocesso, l’attentato. Ricordi di storia recente. Poco più di un’ora per ripercorre le tappe storiche della lotta alla mafia in Italia, sul palco del teatro Signorelli venerdì 30 Novembre. Per non morire di mafia, monologo tratto dall’omonimo libro del magistrato Pietro Grasso oggi procuratore nazionale antimafia, Margherita Rubino ne ha curato l’adattamento drammaturgico.
Appoggiandosi a una lavagna extra large, che ospita alcune parole chiave del racconto (tra cui mafia, giustizia, potere, libertà, democrazia, utopia), una frase, «la mafia non esiste», a lungo sostenuta da più fronti; e poi i nomi che hanno creato le fondamenta stesse della lotta alla mafia: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e il primo pentito Tommaso Buscetta, oltre ovviamente a qualche data (10 febbraio 1986: primo giorno del maxiprocesso). Sebastiano Lo Monaco traccia il profilo umano e professionale di Grasso.
Si parte dalle motivazioni della sua scelta professionale, legate a un ideale di giustizia di bambino che giocando a nascondino voleva restare sempre ultimo per fare tana e poter annunciare quel libera tutti agli altri bambini.
Magistrato a soli 24 anni, Grasso come primo incarico è pretore a Barrafranca in provincia di Enna dove resterà «poco più di due anni», per rendersi subito conto che «il colore dominante era il nero, per il lutto portato dalle donne, che in molti casi lo tenevano per tutta la vita».
Sono gli anni ’70, un tempo in cui appunto ricorre spesso la frase«la mafia non esiste», eppure sono in molti a raccoglierne tracce e a chiedersi cosa sia (molto efficaci ed evocativi i canti tradizionali in siciliano di Clara Salvo che punteggiano il racconto).
Come recitano le voci fuori scena di due bambini, il regolamento di conti interessa un numero sempre crescente di persone e miete un numero esorbitante di vittime (tra gli anni ’70 e gli ’80) anche tra coloro che militano tra le file della legalità e della giustizia (Boris Giuliano, investigatore della polizia; Cesare Terranova, giudice; Emanuele Basile, carabiniere; Mario D’Aleo, capitano dei Carabinieri; Gaetano Costa, magistrato procuratore capo di Palermo; Pio La Torre, politico; il generale Dalla Chiesa e molti altri tra cui anche Peppino Impastato).
La svolta avviene nell’84 quando Tommaso Buscetta diventa il primo pentito della Storia e, parlando con Giovanni Falcone, «squarcia alcuni veli, mostrando una struttura piramidale, con una forte organizzazione gerarchica; racconta dei criteri per l’accesso all’interno dell’organizzazione criminale, ma soprattutto rivela la violenza bruta che ne caratterizza i meccanismi: feroci omicidi, strangolamenti, cadaveri sciolti nell’acido, incaprettamenti» per cui i sicari sono«come soldati al fronte, eseguono ordini senza discutere, senza conoscere motivazioni, né le proprie vittime». Rivelazioni che porteranno al maxiprocesso con oltre 800 indagati.
Conosciuto per caso nel 1979, lavorando insieme a una banale indagine sul furto di un ciclomotore per un’istruttoria contro ignoti, Grasso ricorda di aver ricevuto proprio in quell’occasione la prima lezione di professionalità di Giovanni Falcone: «era diverso da tutti noi, per tenacia e meticolosità. Era un fuoriclasse». Poi l’incontro nella stanza blindata, in seguito all’incarico di Grasso come giudice a latere per il maxiprocesso. In quella circostanza, la collaborazione con Paolo Borsellino: «sempre prodigo di suggerimenti, con un atteggiamento paterno». Quindi le minacce, la fragilità della vita familiare, i limiti dovuti al vivere sotto scorta, le tensioni e l’incrinatura del rapporto con il figlio. Fino alla morte di Falcone.
«Conservo ancora oggi il tagliando di quel check-in: imbarco alle ore 19.40 del 22 maggio, posto 1 L. Non ci sono parole per descrivere l’immenso dolore che provai quando, il giorno dopo, a casa, appresi dell’odioso e feroce attentato alla vita del mio caro amico e collega. Fui pervaso da un senso di incredulità, di nausea, di vuoto, di rabbia. Gridai più volte: vigliacchi, vigliacchi, assassini, assassini, maledetti, accompagnando queste parole con pugni sul muro».
Sull’aereo doveva esserci anche Grasso, ma partì prima perché Falcone era stato trattenuto da un impegno della moglie e aveva rimandato di un giorno la partenza.
Per non morire di mafia è uno spettacolo pieno e complesso nella sua linearità, governato dalla presenza scenica di un attore Sebastiano Lo Monaco, conosciuto in tanti ruoli classici, ma capace qui di sorprendere profondamente, un monologo vibrante di un uomo contro.
Che mette la sua vita in prima linea per salvare la speranza di un futuro possibile.
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