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Festival Europeo di Musica e Danza Popolare 2015, il bilancio e le sensazioni

Il 12° Festival Europeo di Musica e Danza Popolare, più brevemente detto festival del folclore, appena concluso ha visto la partecipazione di quattro tradizioni, quattro musicalità e quattro caratteri nazionali, o quanto meno regionali: una molteplicità che è lo specchio di una differenza di storia e costumi dei popoli europei che va tutelata e amata. Questa è la prima generale considerazione che si impone a esperienza archiviata, le altre riflessioni proveranno a seguire lo stesso avvicendamento dei gruppi sul palco di Cortona in un impasto di ricordi e suggestioni.

 

Al momento in cui, proprio su quel palco, sono saliti i ragazzi della Compagnia “Il Cilindro” e sono partite le musiche che ognuno di noi ha ascoltato mille volte, anche senza sapere come si chiamino o a che ballo si accompagnino, subitaneo è scattato nel pubblico un meccanismo di riconoscimento, un’adesione totale a una tradizione che quando viene rappresentata, tutti, gelosamente, sentono come propria. Gli spettatori di Cortona hanno dapprima assistito alla messinscena di un mercato paesano con le sue voci, anzi i suoi bercioni, gli inviti alle massaie a acquistare cibarie – il cibo era il tema ispiratore nell’anno dell’Expo -,  le contrattazioni per ninnoli o stoffe da dote:  richiami e ritualità non così remoti e che si sono svolti fino a 40 anni fa anche in quella stessa piazza Signorelli dove ora venivano evocati con qualche nostalgia, poi hanno ammirato le danze, proposte come esito naturale e ancora percepibile di quello sguardo preliminare gettato all’indietro, era un po’ come dire: sì, il passato è davvero passato, non esiste più, ma l’arte popolare che le precedenti generazioni di uomini hanno elaborato sopravvive e possiamo ancora capirla, è tuttora parte di noi. Anche se le danze sono meno acrobatiche di quelle russe, forse (?) meno eleganti delle belghe e di certo meno fisiche di quelle di Termoli, sono le nostre e ci raccontano.

Tutto diverso è stato lo spettacolo di mirabile vertigine circense dei russi della provincia autonoma di Kabardino-Balkaria, essi sono dei professionisti, dei meccanismi a orologeria di spietata perfezione. Come sottrarsi, allora, al fascino di quei movimenti in parata non indegni delle Ziegfeld Follies? Come ignorare la bellezza dei costumi delle danzatrici, la loro altezza nastriforme, la loro gestualità minuziosa, fiera e aristocratica da esercito cosacco che sfila davanti allo zar? Oppure, come rimanere indifferenti di fronte al dinamismo energetico dei danzatori uomini, e di uno in particolare che di tanto in tanto abbandonava le file dei suonatori, posava il suo strumento e si produceva in una convulsione dionisiaca di piroette? L’apparizione di quelle algide principesse, matrioske inviluppate di rigore prussiano, poteva suggerire alla mente le favole di Afanas’ev, le baba yaga e tanti racconti e romanzi della grande letteratura russa o i balletti del Bolshoi in un ingorgo di emozioni, colori e suoni meravigliosi.

L’esibizione dei belgi del gruppo “Pas d’la Yau” è giunta con la geometrica eleganza dei tessuti delle Fiandre, meno agili ma anche più naturali dei russi, con musiche e coreografie che attingono inevitabilmente alla confinante tradizione francese. Infine gli altri italiani di Termoli, gli “‘A Shcaffètte”, quelli che prendono nome dalla quota del pesce migliore che spetta a chi va a rastrellarlo con le reti, questa è gente arroventa dal sole e che batte l’acqua con le mazze di legno per tramortire i pesci, e poi rappresenta il suo lavoro in ” ‘U balle du  Stremmature”, gente coraggiosa e audace che sfida il più accogliente ma infido degli elementi, il mare.

In ogni tradizione c’è un portato di umanità e di storia che non potremo mai conoscere con un semplice spettacolo di folclore ma che, se ci allertiamo, possiamo comunque annusare e sentire con sensi ulteriori ai cinque. Qui, solo per esigenze di rassegna, i gruppi sono stati sottoposti a un confronto in sequenza che è stato anche una specie di squartamento, mentre negli spettatori tutte le sensazioni si sono fuse. Quando anche l’ultima persona ha lasciato la propria sedia e ha ripercorso dall’inizio alla fine lo svolgimento dello spettacolo avrà certo avvertito qualcosa di unitario e di bello.

Michele Lupetti

Colui che nel lontano 2006 ideò tutto questo. Fondatore e proprietario di ValdichianaOggi, dopo gli inizi col blog "Il Pollo della Valdichiana". Oltre a dispensare opinioni sulle cose locali è Beatlesiano da sempre (corrente-Paul Mc Cartney), coltiva strane passioni cinematografiche e musicali mescolando Hitchcock con La Corazzata Potemkin, Nadav Guedj con i Kraftwerk. I suoi veri eroi, però, sono Franco Gasparri, Tomas Milian, Maurizio Merli, Umberto Lenzi... volti di un'epoca in cui sarebbe stato decisamente più di moda: gli anni '70

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Michele Lupetti

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