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Equilibrio e Ambiguità, incontro con l’architetto Colavincenzo

L’amico e associato Fernando Colavincenzo, di professione architetto, e attualmente dedicato alla pittura,  da qualche tempo si è avvicinato in punta di piedi anche al mondo della fotografia, con la modestia del neofita e la curiosità e la sagacia dell’esploratore che varca le soglie di un mondo la cui pratica è a lui poco familiare.

Egli  ritiene che tutto il territorio del linguaggio figurativo, e non solo, è collegato dai fili sottili della comunicazione, anzi dagli stessi fili che legano tutte le forme espressive dell’arte:  dalla poesia, alla musica, al teatro, al cinema, alla fotografia, nonché a tutto il mondo delle arti figurative. E questo al di là dei singoli strumenti espressivi.  Le leggi percettive di tutti questi linguaggi soggiacciono e sono governati dalle stesse strutture cognitive.  In particolare l’ambiguità e l’equilibrio condizionano tutti gli aspetti dei linguaggi umani, all’interno dei rispettivi codici, delle convenzioni particolari, e ogni forma si manifesta come un rito a cui ognuno deve soggiacere per comprenderne i significati reconditi.  E’ alquanto ingenuo e presuntuoso voler cogliere i valori, spesso occulti, di tutte queste manifestazioni soltanto come occasionali spettatori. Il  banale aforisma: “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”, nasconde una grande ingenua presunzione, allorché questo assunto  può soddisfare l’effimero mondo offerto dalla moda, che si rivolge a prodotti di natura commerciale, continuamente bruciati e rigenerati dalla  affannosa rincorsa alla novità; prodotti che oggi esistono e domani non ci sono più. La moda tempera sì il “gusto” attraverso il mercato, ma per sua natura il gusto è transitorio, muta nel tempo, ed è del tutto inadeguato a misurarsi con opere immortali, quali quelle dell’arte che sfidano il tempo.  Al di là delle emozioni istintive che l’arte promuove, non ci può essere una sia pur tenue comprensione di esse senza una sentita partecipazione o addirittura una costante milizia nelle rispettive discipline che la comprendono, né senza una ferma volontà di  apprendimento  di quei segreti che ogni forma d’arte sottende.

L’intervento ha introdotto alcuni di questi argomenti, in forma interlocutoria, attraverso semplici appunti di riflessione: partendo dal gesto quale linguaggio del corpo, proprio delle civiltà cosiddette primitive attraverso i riti e i miti iniziatici, alla comunicazione verbale, la quale ancor prima di svolgere la sua funzione semantica, avviene ed è possibile solo se prima di tutto abita il nostro corpo tramite lo sguardo, il sorriso, il suono della voce di chi ci sta di fronte, in una partecipazione emotiva che diviene coabitazione del corpo, prima che della mente degli interlocutori; per giungere al linguaggio metaforico e traslato della poesia o quello ineffabile della musica, fino al codice simbolico e strutturato della fotografia e delle arti figurative.

L’argomento trattato prende spunto dalla riflessione sulla percezione visiva, quale elaborazione della nostra mente dei percetti sensoriali. Le immagini in particolare assumono forme e significati resi espliciti dalle leggi della percezione, indagate dalla teoria della Gestalt (teoria psicologica sperimentale messa a punto nel 1922 della scuola psicologica  di Berlino), disciplina scientifica che riveste molti ambiti anche di carattere eminentemente terapeutico. La Gestalt  restituisce alle forme evidenza, e rivela di esse significati inaspettati e sorprendenti. Le leggi della visione smascherate dalla Gestalt, presiedono alla interpretazione delle immagini e alla interazione tra noi con il mondo esterno. In contrapposizione alla precedente scuola psicologica dell’associazionismo positivistico, che riteneva la visione come la semplice “somma” di associazioni tra sensazioni e percezioni, la Gestalt sostiene invece che la visione è molto di più della semplice somma delle singole parti: è un prodotto di natura più complesso, più alto, potremmo definirlo strutturato. La Gestalt chiarisce che la sensazione e la percezione sono un’unica cosa, un fenomeno unico; chiarisce altresì che la visione è prima di tutto un giudizio visivo, poiché è il risultato di una struttura articolata, connaturata in noi, elaborata dalla nostra mente, che stabilisce sempre una interrelazione tra il percetto e l’osservatore, tra noi e il mondo che ci circonda, coinvolgendo la nostra storia, la nostra cultura e la nostra esperienza conoscitiva nel suo complesso. Non si riduce quindi a una meccanica associazione delle sensazioni acquisite dall’occhio. Queste nuove interpretazioni sulla forma aprirono un nuovo dibattito sull’arte figurativa e dell’immagine in generale, fin dal suoi nascere, fu un sapiente laboratorio di pensiero che mise  a nudo i limiti delle estetiche dall’idealismo, dello spiritualismo e del materialismo dialettico imperanti in quegli anni,  aprendo così le porte ad un nuovo modo di vedere, al pensiero bergsoniano e alla fenomenologia di Husserl.

Ogni autentica conoscenza si potrebbe definire “gestaltica” ossia della forma, ed è appunto attraverso la percezione della forma, che la realtà disvela il suo equivoco e  manifesta la possibile comprensione di essa; cadono i confini dei linguaggi espressivi, se ne coglie così l’intimo significato, allorché  una nuova frontiera si apre e ogni cosa scioglie il suo lato oscuro, riorganizzando il nuovo sapere, che dà vita ad ogni nuova esperienza.

Michele Lupetti

Colui che nel lontano 2006 ideò tutto questo. Fondatore e proprietario di ValdichianaOggi, dopo gli inizi col blog "Il Pollo della Valdichiana". Oltre a dispensare opinioni sulle cose locali è Beatlesiano da sempre (corrente-Paul Mc Cartney), coltiva strane passioni cinematografiche e musicali mescolando Hitchcock con La Corazzata Potemkin, Nadav Guedj con i Kraftwerk. I suoi veri eroi, però, sono Franco Gasparri, Tomas Milian, Maurizio Merli, Umberto Lenzi... volti di un'epoca in cui sarebbe stato decisamente più di moda: gli anni '70

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Michele Lupetti
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