Grazie all’ANPI di Cortona ho assistito alla proiezione del film di Fabrizio Favilli “Villa Triste”. Conoscevo molto bene la storia della villa di detenzione e tortura di via Bolognese a Firenze avendo letto molto sulla questione, ultimo il lavoro di Massimiliano Griner. Devo dire che il film mi è piaciuto dal punto di vista della ricostruzione storica (unica imprecisione evidente è quella relativa all’uccisione del Carità che avvenne a Castelrotto sull’ Alpe di Siusi, non ad opera dei partigiani ma per mano di soldati alleati), mentre mi ha convinto di meno dal punto di vista interpretativo e recitativo.
Ma non è questo il punto, la verità è che il film è da considerare come uno strumento utile alla conoscenza storica di quei barbari avvenimenti ed alla conservazione della loro memoria. Quello che avvenne allestita nel capoluogo toscano fu purtroppo una delle “Ville Tristi” realizzate dal fascismo repubblichino e dal suo alleato nazista. Per citarne alcune basta ricordare la Pensione Jaccarino e la Pensione Oltremare di Roma dove operò l’allievo principale di Mario Carità, quel Pietro Koch che si intravede nel film e la villa milanese di via Paolo Uccello sempre diretta dal medesimo criminale Pietro Koch. C’è da dire che anche a Padova a Trieste ed in altre realtà si ebbero episodi di efferatezza simili.
Quello che subì la Resistenza romana nelle due realtà di tortura citate è stato giudicato da chi è riuscito ad uscirne vivo, peggiore delle sevizie subite da parte degli sgherri di Kappler a via Tasso. Solo questo basta ad illustrare il livello di ferocia, di barbarie e di disumanità che pervadeva queste persone. Dalla Pensione Jaccarino, oltre che da Regina Coeli uscirono uomini destinati alla tragedia delle Fosse Ardeatine e vale la pena ricordare che Pietro Koch collaborò strettamente con il Questore fascista Caruso nel preparare la lista da consegnare a Kappler. A Milano la Banda Koch compì gesti di tale ferocia che, su richiesta del Cardinale Schuster, convinse le autorità di Salò a far disarmare la Banda da parte degli uomini dell’altrettanto famigerata Legione Mobile Ettore Muti. Ma chi erano gli uomini e le donne che componevano tali formazioni? La risposta viene data giustamente dal Prof. Giorgio Sacchetti che ha parlato prima della proiezione del film.
Con la caduta di Mussolini nel luglio del ’43 e ancora dopo l’Armistizio di Cassibile nasce la R.S.I. che attira a se in modo particolare quelle persone che erano state protagoniste del fascismo primordiale, quelli che avevano agito nelle squadracce del ’21-’24 e che poi erano stati delusi dal fascismo di governo, come si direbbe ora e dall’imborghesimento della classe dirigente di regime durante il ventennio. C’è sicuramente da aggiungere che lo stesso fascismo aveva in qualche modo emarginato, dopo essersene servito a piene mani, questi personaggi rendendosi conto che erano impresentabili per la loro facinorosità e per la loro mentalità violenta. Questi vedono nella RSI l’occasione del loro riscatto e si giocano tutto non solo per motivi ideali, ma anche e soprattutto per desiderio di danaro, potere, visibilità. Molti di essi sono avanzi di galera, ladri, assassini che colgono l’occasione per cercare di rifarsi una “verginità” sociale attraverso l’appartenenza a tali organizzazioni paramilitari. Trovano terreno fertile nel gruppo dirigente salotino, dal Ministro Buffarini Guidi, al Capo della polizia Tamburini ed allo stesso Mussolini. Ma il Governo di Salò è un fantoccio ed allora queste bande, così come la X° Mas, la Ettore Muti si inquadrano nella sostanza nelle SS italiane, sotto il diretto controllo di Kesserling e dei suoi uomini. Questi lasciano alle bande italiane il lavoro sporco che peraltro esse svolgono con perizia e grande zelo.
Quello che si vede nel film è solo uno spiraglio delle nefandezze che venivano perpetrate dagli aguzzini di Carità. Un gusto sadico pervadeva personaggi del suo entourage a partire dalle donne della banda che blandiva con derisione gli uomini morenti al cappellano della banda (o meglio ancora delle bande, avendo “lavorato” sia con Carità a Firenze che con Koch a Roma e Milano, il monaco benedettino Ildefonso Troya che si dilettava suonare l’Incompiuta di Schubert o canzonette napoletane per coprire i lamenti dei torturati.
Dopo la Liberazione molti di questi uomini furono arrestati ma la loro detenzione fu per quesi tutti quasi simbolica. Molti di essi furono addirittura riabilitati e riammessi nelle funzioni pubbliche. Ne troveremo più di uno dietro i misteri del terrorismo nero degli anni ’70 e dietro i tentativi di Golpe che via via si sono verificati in Italia. Altri sono divenuti attori famosi, giornalisti famosi e di grido.
Nel film il capo partigiano dice giustamente “noi vogliamo giustizia, non siamo come loro, non vogliamo vendetta”. Tuttavia colpi di spugna troppo improvvisati, senza nessuna abiura da parte di chi ha compiuto tali orribili crimini lasciarono e lasciano perplessi i democratici e chi crede nella libertà. La stessa amnistia di Palmiro Togliatti servì più a riabilitare degli assassini che a riappacificare il Paese.
Per questo serve coltivare la memoria, non per incitare a vendette o a cose simili, ma per conoscere ciò che è accaduto, per ribadire che la democrazia e la libertà non sono mai conquistate una volta per sempre, ma che sono una cosa delicata, che ha bisogno di cure ed attenzioni. Basta vedere a cosa avviene in Europa (ed anche in Italia) per rendersene conto, basta ascoltare i messaggi che vengono da alcuni leader di partiti e movimenti per capire che la vigilanza democratica e popolare servono oggi come allora.