Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di crisi della democrazia e, attuale, di crisi della politica.
Per prendere confidenza con un problema che grava quotidianamente sulle nostre spalle, un valido strumento è il libro di Paul Ginsborg La democrazia che non c’è.
Scritto in maniera semplice e senza usare un linguaggio tecnico che ne avrebbe minato l’efficacia, Ginsborg inizia il saggio analizzando due forme di democrazia: quella nata in Russia dopo la rivoluzione del ’17 e la democrazia derivata dalla tradizione liberale.
Se dalla fine della seconda guerra mondiale il processo democratico si è ampiamente diffuso, occorre precisare che la partecipazione diretta dei cittadini al governo è sempre stata minima, perché il compito decisionale si è sempre più concentrato nelle mani della classe politica.
Ai cittadini invece è richiesto di andare regolarmente alle urne per legittimare il sistema.
L’elemento che accomuna le democrazie europee del dopoguerra è di aver garantito ai propri cittadini non solo i diritti politici ma anche quelli sociali, tuttavia è oggi in atto una crisi qualitativa della democrazia, con un calo dell’affluenza alle urne, degli iscritti ai partiti.
Con il tracollo della credibilità delle istituzioni pubbliche e della fiducia nella classe politica.
Plurime le cause.
In primo luogo, la costante delega decisionale alla politica ha generato una classe dirigente separata dal resto popolazione, una élite dirigenziale sempre più privilegiata e inavvicinabile, che scende tra la gente solo nel periodo elettorale.
Altra causa è l’impossibilità dei cittadini di influenzare o rendersi partecipi del processo politico, il che si traduce in una uguaglianza formale solo nel momento in cui esercitano il diritto di voto.
Ginsborg indica come elementi di crisi anche il fattore economico ( in quella realtà dove i cittadini hanno pari diritti politici, ma vivono in una condizione di profonda disparità a livello economico, la democrazia è a rischio) e il rapporto tra genere e democrazia. Sebbene le donne abbiano raggiunto traguardi fondamentali (istruzione, diritto di voto), nella società contemporanea sono penalizzate nel mondo del lavoro, con retribuzioni più basse e una debole rappresentanza nelle istituzioni pubbliche: questo perché il voto delle donne non si traduce in una maggiore presenza femminile nella politica, anzi, anche nelle democrazie occidentali, la partecipazione femminile alla sfera politica è ridotta al minimo. Due le ragioni: perché la politica è un sistema la cui forma di base è stata gettata da uomini e quindi riflette valori, culture e tradizioni maschili. In secondo luogo, le donne, all’interno della famiglia, specialmente in Italia, occupano ancora un ruolo centrale, unendo in molti casi il ruolo materno a un’attività lavorativa, tanto che resta poco tempo (materiale) da dedicare alla vita pubblica. Nei casi in cui una donna s’impegna attivamente nella sfera pubblica, può farlo solo ponendosi alcuni limiti in ambito privato (il caso più comune è decidere di non avere figli).
L’analisi proposta da Ginsborg riflette molti aspetti della realtà storica e sociale in cui viviamo e fornisce degli elementi raccolti “sul campo” per rapportarsi in modo critico a un sistema che ha bisogno di modifiche profonde e credibili, specie in un momento di crisi come quella attuale.
Ci sono altri libri che meritano di essere menzionati: L’uomo a una dimensione di H. Marcuse e La nuova oscurità di J. Habermas. Testi che parlano di appiattimento e crisi dello stato sociale, del crollo di quei valori sui quali si sono costruite le democrazie occidentali.
Opere fondamentali che criticano lo status quo, il modello imposto dai grandi colossi economici che risucchiano gli individui in un gorgo materialistico dove tutti, alla fine, perdono la propria identità diventando tutti uguali.
Un livellamento che il filosofo franco-americano René Girard definirebbe caotico, desertificante: il caos è infatti per Girard la piattezza desertica, quella realtà dove non c’è più identità e ogni elemento può essere sostituito indifferentemente a un altro.
Non si tratta di fare i rivoluzionari a tutti i costi o di proporre nuovi “ismi” populisti o demagogici che non servono a nessuno.
Si tratta semplicemente di prendere coscienza del tempo in cui stiamo vivendo.