Io sono uno di quelli che si gusta l’odore della carta di un libro appena comprato.
Sono uno di quelli che, ai mercatini dell’usato, prima di tutto cerca le bancarelle con i libri usati e viene colto da una vera e propria mania compulsiva che mi spinge ad acquistarne il più possibile: libri che non solo leggerò tra anni, ma alcuni che, in tutta onestà, forse non aprirò mai.
Quelli per i libri li considero sempre e comunque soldi spesi bene perché per la cultura e per l’arricchimento di se stessi non c’è prezzo che tenga. Non si può contare il centesimo quando in ballo c’è qualcosa d’intangibile ma fondamentale come la conoscenza (detto in un paese come l’Italia quest’affermazione fa quasi ridere!).
A me piace guardare la mia personale biblioteca, spulciare le costole dei libri, leggerne i titoli, segnandomi mentalmente quelli che mi mancano, andando a ingrossare la lista dei “libri da avere”, elenco che, nonostante tutti i miei sforzi, non si esaurirà mai, crescendo di giorno in giorno.
E così, mentre questa mattina leggevo alcune pagine del mio ultimo acquisto, Honeymoon della scrittrice giapponese Banana Yoshimoto, ho pensato a quanta bellezza sia racchiusa nei libri. Non solo per le meraviglie nascoste tra le loro pagine, ma anche a quella fisica, tangibile. La bellezza della copertina, della rilegatura, il fascino del titolo che stimola la curiosità del lettore.
Poi l’occhio mi è caduto sul vecchio tablet che è capitato a casa mia più o meno per caso, in pratica mai usato, forse per leggere due, tre libri. E sebbene ce ne siano degli altri, sono sempre titubante a usarlo: per me leggere è sinonimo di aprire un libro stampato, anche se il mondo sta andando nella direzione opposta. Sono sicuro che tra pochi anni il digitale diventerà la prassi e il libro comunemente inteso solo il vezzo di qualche nostalgico, un po’ come succede per i dischi in vinile adesso.
Mi sono quindi immaginato la libreria svuotata da tutti i miei volumi, spogliata dei testi di filosofia, storia, poesia, romanzi e tutti gli altri, sostituiti da quell’unico strumento, magari pieno zeppo di e-book, risparmiando così carta, inchiostro e tutto quello che serve per la stampa di un libro.
No, non mi è piaciuto! Non perché sono un reazionario come quelli che vorrebbero tornare al telefono a gettoni, rinnegando sempre e comunque l’utilità della tecnologia. Semplicemente perché anche l’occhio vuole la sua parte e se non ci credete, specie chi ama leggere, provate a pensare alla vostra casa priva di tutti i libri che amate, sostituiti da un tablet, grande quanto un pacchetto di sigarette o poco più, e capirete di cosa sto parlando.
E se qualcuno avesse notato che in questa riflessione compare un numero spropositato di volte la parola “libro”, abbiate pazienza: cosa pretendete da uno che li annusa?
Stefano Milighetti