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Il Capitano è fuori a pranzo

Charles Bukowski (Germania 1920 – California 1994) è uno di quegli scrittori che hanno “smosso le cose”.

L’impatto con i libri di Bukowski è del tipo che non ammette accezioni: o si amano o si detestano. Le sue sono opere che si leggono in un colpo solo o che si buttano nel cestino della carta straccia dopo due pagine. Non ci possono essere mediocri vie di mezzo, come del resto non ci sono state nella vista dello stesso scrittore. Sempre al limite, sempre lanciato al massimo, con le donne, con l’alcol, con i cavalli. Con il mondo e l’umanità in generale.

A me, personalmente, i libri del vecchio “Hank” piacciono e negli ultimi anni ho cominciato a leggerli facendo attenzione a tutti quei dettagli, umani, sociali, letterari, che invece possono facilmente sfuggire all’adolescente divertito dal linguaggio colorito e dalle scene “spinte” delle sue storie.

Per un approccio onesto, diciamo senza pretese, sono due i libri che mi sento di consigliare come primo, indispensabile ABC su Bukowski: Musica per organi caldi e Post Office. Il primo è una raccolta di racconti che scivola via liscia come il famigerato olio, mentre il secondo è un romanzo, quasi autobiografico, che ha come protagonista l’eterno Harry Chinaski, personaggio centrale del pantheon bukowskiano. Qui Chinaski viene assunto come postino e (proprio come lo stesso Bukowski) alla fine lascerà il posto fisso “per non uscire definitivamente di testa a soli cinquant’anni”.

Dopo queste letture di partenza, c’è un terzo libro necessario per conoscere Bukowski non solo come scrittore ma come essere umano. Per avere una visione a tutto tondo di un artista completo e complesso dalla forte personalità: Il capitano è fuori a pranzo, diario appuntato tra il 28 agosto 1991 e il 27 febbraio 1993.

Scritto con discontinutà, con buchi di interi mesi tra un’annotazione e l’altra, emergono riflessioni profonde fatte da un uomo che ha conosciuto l’aspetto più duro e implacabile della vita. Riflessioni fatte da un uomo che potrebbe essere considerato solo come un ubriacone ma che dalla sua ha avuto la fortuna di essere capce di “far ballare” le parole.

Ma Charles Bukowski non è solo uno scrittore infatuato della bottiglia. In primo luogo è una parsona che ha letto tantissimo, sia i grandi maestri della letteratura che i filosofi, e che non risparmia critiche feroci a tutti quelli che, secondo lui, non valgono neppure il tempo di essere letti (Shakespeare e Mailer sono i due esempi lampanti).

Bukowski: che ama la musica classica (Mahler più di ogni altro), i sigari, la birra, il computer, macchina prodigiosa che permette alla scrittura di fluire con forza e vigore senza eguali. Che racconta delle sue giornate all’ippodromo, che parla dei suoi gatti, del rapporto con la gente e con gli altri scrittori e poeti. Del legame con sua moglie Linda.

Il capitano è fuori a pranzo è un libro che deve essere letto per conoscere davvero e intimamente uno dei più grandi e prolifici scrittori del ‘900.

Un libro che permette di comprendere un autore che altrimenti potrebbe essere facilmente frainteso.

Stefano Milighetti

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