Sono trascorsi sedici anni da quando l’agente FBI Will Piper ha rivelato al mondo l’esistenza della Biblioteca, una monumentale raccolta di 700.000 volumi dove sono annotate le date di nascita e di morte dell’umanità a partire dal 777 fino al 9 febbraio 2027.
Ormai avanti con gli anni, Will si sta godendo la pensione in Florida, dove trascorre le sue giornate a pescare in attesa della data fatidica. I mesi che lo separano dalla “fine dei giorni” non saranno però sereni: ben presto dovrà infatti affrontare dei nuovi, oscuri avversari: i custodi della Biblioteca.
Seguendo uno schema ormai consolidato, Glenn Cooper costruisce la trama legando al presente epoche diverse (in questo caso il XIII e il XVIII secolo), luoghi differenti come gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Repubblica Popolare Cinese e personaggi storici (uno su tutti, Benjamin Franklin) che danno al tutto un palpabile tocco di realismo.
Fin dalle prime pagine, il romanzo cattura l’attenzione e stuzzica la fantasia del lettore, rivelando ancora una volta le innegabili capacità dell’autore.
C’è un però che si staglia granitico all’orizzonte: la trama è singolare, i personaggi ben delineati, specie per Will e Nancy Piper e la famiglia Lightburn, la tensione aumenta di pagina in pagina, eppure il tutto si svolge in una modalità che, alla fine, risulta frettolosa, con passaggi chiave che avrebbero richiesto un numero più consistente di “parole”.
È questo un modus operandi che è emerso come ulteriore costante nei suoi romanzi, specie ne Il marchio del diavolo e L’ultimo giorno.
Romanzi originali, scritti in modo superbo, ma che mi hanno fatto provare un senso di stordimento, stupito di essere arrivato “già in fondo”, con una celerità dei fatti simile a quel “precipitare degli eventi” che caratterizzò lo scoppio del primo conflitto mondiale: tutto troppo veloce.
Non so se sia un espediente voluto quello di creare un ritmo al cardiopalma, tuttavia è forte l’impressione che l’autore abbia eliminato un surplus narrativo che, se da un lato avrebbe sicuramente smorzato la tensione, dall’atro avrebbe contribuito ad arricchire la storia di particolari, garantendole così uno spessore ben diverso.
Stephen King, nell’introduzione alla riedizione de L’ombra dello scorpione, parlando delle quattrocento e più pagine aggiunte al libro, ha scritto: “… la storia c’è ma non ha stile. È come una Cadillac con le cromature squamate e la vernice scorticata fino al metallo. Camminare, cammina, ma non è, come dire, il massimo …”.
Parlando dei libri di Glenn Cooper non si può certo dire che manchino di stile e rappresentano delle buone letture, specie in queste serate uggiose di fine inverno, senza poi contare che sono pubblicazioni che spiccano nel panorama tristemente scontato e dei soliti noti della grande editoria italiana, tuttavia, proprio per questa velocità espositiva, non sono il massimo.
Insomma, visto il clamore dell’esordio (La Biblioteca dei morti è risultato uno dei libri più letti e venduti d’Italia), potrebbero essere decisamente migliori.
Da leggere con circospezione.
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Forse potrebbe trattarsi di un modo contemporaneo di trattare la narrativa,che più che mirare alla complessità.guarda ad affascinare coinvolgendo in ritmi serrati,veloci come certe riprese,regie cinematografiche:d'altronde questo mi sembra l'orientamento della scrittura contemporanea a cominciare da quella creativa;certo è che oggi non possiamo pensare di scrivere come i grandi romanzieri dell'ottocento anche alla luce appunto della stessa esperienza cinematografica,che indubbiamente ci ha abituati ad una lettura veloce ,dinamica degli eventi....,anche se quello che rimane è "limitato";una mia opinione ovviamente.Lucia Bianchi