Dimenticando il progetto edilizio che avevo cominciato, ho realizzato di far parte del favoloso gruppo dei primi dieci! Ho anche capito che il mio momento stava per arrivare e che mi separavano dal provino soltanto la statua di un Perseo con tanto di testa della Medusa grondante sangue e alcune rampe di scale.
Come una sporca dozzina mutilata di due preziosi elementi, ci siamo avviati verso le stanze con le telecamere.
Nella mia immaginazione, già animato da un insospettabile spirito televisivo, vedevo la scena dall’esterno, al rallentatore, come se fossimo astronauti in marcia verso uno shuttle futuristico che ci avrebbe portato nello spazio per salvare il mondo da una terribile minaccia (l’immagine di una gigantesca palla d’immondizia in rotta verso il pianeta ha dimostrato come Futurama abbia segnato profondamente la mia fantasia). In sottofondo, l’immancabile Così parlò Zarathustra di Strauss, giusto per tirar dentro anche Kubrick.
Rimasti tuttavia con i piedi per terra, siamo arrivati in uno stretto corridoio e in modo gentile ci hanno invitato ad accomodarci in una piccola sala d’aspetto. Qui ho avuto modo di conoscere Pierpaolo e Pino e giusto per ingannare l’attesa, abbiamo iniziato a parlare delle nostre aspettative, dei romanzi che avevamo presentato, della scrittura e degli autori che vengono pubblicati dai grandi editori italiani.
Poi una voce ha chiamato “Il Numero3!” e, sebbene per un impalpabile secondo l’ansia da prestazione mi abbia fatto dimenticare chi fosse questo numero 3, mi sono alzato e ho seguito un ragazzo dai capelli neri.
Ha aperto una porta e l’ho finalmente vista. Era lì, pronta a riprendermi, a immortalarmi per lo show business: la telecamera.
Mi sono seduto e il mio provinatore ha preso la mia iscrizione. Mi ha guardato e ha detto:
“Allora, tu sei Stefano Milighetto,” c’è stata una pausa, con me tentato di rispondere di sì, che ero Stefano Milighetto, giusto per farla finita e pagare il pegno della mia sbadataggine poi, per una fortuna misericordiosa, ha aggiunto un “ah, no, c’è una correzione: Stefano Milighetti!”
Il sollievo è stato tale che ho rischiato di finire giù dalla sedia, liquefatto come un cubetto di ghiaccio in un forno: finalmente Stefano Milighetti poteva entrare in azione.
È a questo punto che i ricordi cominciano a farsi nebulosi: so di aver parlato di me, del primo libro che ho letto e di quando, intorno agli undici anni, lessi il racconto di Stephen King Il Babau e che passai la notte, terrorizzato, a montare la guardia all’armadio, credendo di sentire suoni orribili provenire dal suo interno. Ho parlato del mio romanzo (probabilmente non in modo convincete come avrei voluto, cosa se non altro servita a depennare dall’elenco delle mie possibili attività quella di venditore) e dei filosofi russi, realizzando solo dopo, anzi molto dopo, di essere andato nel pallone più completo e di esser saltato di “palo in frasca”, senza una minima coerenza di logico pensiero, alla faccia della filosofia e di quello che ho studiato per tantissimi anni.
Il tutto non è durato più di un quarto d’ora e quando il mio provinatore mi ha salutato dicendomi “ti faremo sapere entro la fine del mese” nella mia testa ha cominciato a rimbombare l’inizio di Hell’s Bells degli AC/DC e una domanda ha turbato quella giornata dopo tutto positiva: chissà se Stefano Milighetto avrebbe fatto meglio di me? Domanda che purtroppo non troverà mai risposta.
Dopo essere uscito e aver imboccato quasi di corsa le scale, sono tornato in quel piazzale dove era iniziato tutto quanto alle 9.30, felice e orgoglioso di essermi cimentato in una prova che faceva a cazzotti con il mio carattere.
Ho gettato un’occhiata colpevole a chi era ancora in fila per firmare la liberatoria e sono andato verso l’ingresso, dove ho ritrovato Laura che mi stava aspettando insieme a Chiara e Valerio.
Dopo un giro di saluti, siamo andati a mangiare e con cognizione di causa abbiamo optato per un pranzo tipicamente romano da Burger King, costatando con una certa soddisfazione che i suoi panini sono migliori di quelli dall’altro e forse più noto Fast Food con il nome di un pagliaccio. Per spezzare una lancia a favore dell’altro, riconosco la genialità dell’iniziativa delle PR di McD. che distribuivano buoni sconto davanti all’ingresso di Burger K: bisogna essere davvero avanti per far sfoggio di una simile sfacciataggine pubblicitaria!
Concluso il pranzo e accompagnati dal sole della Capitale, ci siamo avviati verso la stazione, in attesa di quel treno che ci avrebbe riportati a casa. Il cui arrivo avrebbe cominciato a scandire il conto alla rovescia fino alla data fatidica del 30 settembre.
Adesso che ho raccontato questa storia, è il tardo pomeriggio del 1 ottobre e le notizie non sono ancora arrivate, tanto silenzio e nessuna informazione ufficiale, solo voci di corridoio che mi hanno fatto cadere letteralmente le braccia, per non dire qualcosa di peggio.
Ripenso spesso a quel provino che avrebbe potuto cambiare tante cose e mi reputo comunque soddisfatto per essere tornato a Roma dopo un sacco di tempo e per essermi mostrato per ciò che sono, senza nessuna maschera: sbadato, ansioso e sognatore.
Caro Masterpiece, io sono così, prendere o lasciare, al diavolo tutto il resto.
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Diceva in un suo scritto un noto terapeuta che "nascondersi"dietro un nome,un pesonaggio, può aiutarci ad esprimere aspetti di noi in altra veste;aspetto che nel mio "giocare"ho talora sperimentato e verificato;quindi la domanda che Stefano si pone ha valide ragioni.E'pur vero che niente vale quanto essere se stessi,pur se rischioso calare la maschera.Personalmente trovo il racconto .ad episodi, di Stefano,veramente ben scritto e ,da appassionata di varie manifestazioni artistiche,mi permetto di sostenere il suo talento,almeno con la mia solidarietà.
Penso che dare ai giovani degli spazi sia comunque mantenere vivo l'interesse, la passione e il lavoro nel caso specifico per la scrittura.