Venuti e Ginori… imprenditori illuminati, coi problemi dei loro colleghi d’oggi!

Nell’articolo precedente, grazie alla generosità della Sig.ra Anna Moore Valeri che ci ha permesso di attingere ale fotografie che corredano il suo libro “Catrosse a Cortona”, abbiamo ammirato le eleganti “terraglie ad uso inglese” prodotte nella Manifattura cortonese di Catrosse nata nel 1796 ad opera dei Marchesi Venuti. Questa volta, mentre leggiamo, godiamoci le foto delle raffinate “maioliche” che sempre da quella fabbrica provenivano.

 

Il linguaggio dei corsivi che riporterò sotto non è dei più scorrevoli, ma merita di essere riportato per mostrare come personaggi vissuti più di duecento anni fa erano forse più moderni di noi in quanto a concetti da applicare nella politica economica locale per raggiungere, insieme al bene degli imprenditori, quello della loro collettività. Questi imprenditori avevano idee e progetti, e spesso (come vedremo) si scontravano con le lungaggini e le ottusità del potere… un problema che rimane attuale.

La forza di uno Stato, Come Voi ben sapete, dottissimi Accademici, dipende dal numero delle risorse o dei mezzi, che esso ha per provvedere al bisogno dei Nazionali non meno, che degli Stranieri. Da questo principio ne deriva, essendo di grandissima importanza per la prosperità di qualsivoglia Paese il trar profitto dalle sue naturali produzioni, facendo sopra di esse dei giudiziosi sperimenti, e tentativi, onde metterle in opera nella maniera la più vantaggiosa, e lucrativa. Richiede pertanto il bene pubblico che non solamente il Governo, ma i Particolari ancora dotati di cognizioni, e di beni di fortuna, portino le loro più giuste vedute sulle materie anche le più rozze del proprio territorio, e che si impegnino di aggiunger loro un nuovo lustro, e valore per mezzo dell’opera, e dell’industria. Quando si è ottenuto che la materia, e la mano d’opera si trovino riunite nel medesimo luogo, si è ottenuto ancora ciò che la politica economica può insegnar di più utile per introdurre in uno Stato il Commercio, e l’opulenza.

Con queste frasi, iniziava la Relazione, “Sulla nuova fabbrica di maioliche cortonesi appartenente ai Sigg.ri Marchesi Venuti ed esistente in Catrosse“. Questo documento che già conoscevamo grazie al libro che ho citato sopra, fu presentato nel 1805 alla “Real Società Economica di Firenze ossia de’ Georgofili”. Già dalla lettura di questa prima parte del testo traspare chiaramente che le intenzioni del Marchese Curzio Venuti e dell’estensore Avvocato Fierli, erano quelle di ribadire ai Membri di questa Accademia, nata per perseguire fini diretti principalmente al progresso delle conoscenze agronomiche a carattere sperimentale, che a Catrosse grazie ai “giudiziosi sperimenti e tentativi” si era raggiunta una tale specializzazione nelle tecniche da adoperare e nei materiali da usare, che in pochi anni la maiolica che lì si produceva aveva raggiunto un “tale grado di raffinamento, da renderla preferibile, e per la bontà, e per il prezzo a qualunque altra che si fabbrica nelle vicine contrade”.

La relazione venne presentata nel 1805. In questo periodo storico la nazione Italia stava vivendo gli stravolgimenti politici e territoriali del periodo bonapartista ed era ancora lontana dal diventare uno Stato unitario pertanto : “Abitando in un Paese limitrofo allo Stato Pontificio, e in vicinanza di una strada regia, che agevolmente vi conduce, egli (il Marchese Curzio Venuti) si è reso come il padrone, e l’arbitro di un grande smercio delle sue Terraglie, in quei medesimi Paesi stranieri, de’ quali era poc’anzi tributaria Cortona non meno, che tutte le altre Città, e Castelli della Valdichiana. I lavori delle Fabbriche Papaline, poste al confine della nostra Etruria, che inondavano in addietro i luoghi tutti della Valdichiana, sono in oggi affatto spariti in faccia ai lavori che escono dalle Fornaci della nuova Fabbrica Cortonese, in una quantità, avuto riflesso al suo principio, assai considerabile, ammontando i pezzi fra i 50.000 e i 60.000 per anno. Tutti cercano di provvedersi di ciò che loro abbisogna, da questa nuova fabbrica, allettati dalla resistenza delle sue terre, dalla bontà delle sue vernici, dalla scelta de’ suoi modelli, che partendosi in gran parte dall’antico, riuniscono i pregi della comodità, e dell’eleganza.

I proprietari, cioè, grazie all’impegno in continui studi, ricerche e sperimentazioni di materiali avevano dimostrato che, impiegando “le materie, anche le più rozze dei loro territori”, era stato possibile creare un’occasione di ricchezza non solo per sè stessi, ma anche per buona parte degli abitanti del territorio.

“…Ciò seguendo, come egli spera, verrà a propagar maggiormente il credito della sua Fabbrica, e la celebrità del suo nome, e verrà nello stesso tempo ad accrescer gli ajuti, e le risorse per tante povere famiglie, che sono in detta Fabbrica impiegate.

La ricerca del bene comune: uno dei principi cardine del “secolo dei lumi” da cui erano animati molti componenti delle famiglie nobili dell’epoca i quali, ancora fedeli ai dettami del movimento filsofico del XVIII secolo, usavano la loro formazione culturale e la loro posizione economica privilegiata per perseguire , anche attraverso le loro attività imprenditoriali, i principi scientifici e filantropici della filosofia illuminista. Secondo tali principi la “ragione” e quindi la ricerca, la sperimentazione scientifica, la modernizzazione, coadiuvate da adeguati strumenti giuridico-istituzionali che le promuovessero,erano il metodo giusto per favorire la produzione della ricchezza e grazie a questa il raggiungimento non della “particolare”, ma della “pubblica felicità”.

Proprio perché perseguire il benessere generale era un dettame dello spirito dei tempi i Marchesi Venuti non erano stati gli unici aristocratici a lanciarsi in imprese di questo genere, anzi dobbiamo per esempio a Carlo di Borbone la nascita della Manifattura di Capodimonte e a suo figlio Ferdinando IV di Napoli la riapertura della Manifattura stessa con il nome di Real Fabbrica Ferdinandea.. Siccome la storia di Capodimontee ha una stretta relazione con quella dei fratelli Venuti e con la nascita della fabbrica di Catrosse, affronterò quest’argomento nel prossimo articolo.

Ancora altre famiglie aristocratiche sparse nel resto d’Italia avevano avviato fabbriche di “terraglie all’uso inglese” e tra questi: i Ferniani di Faenza, i Castelbaro Albani di Pesaro, gli Aldovrandi di Bologna e i Malvica di Palermo.

Anche in Toscana, a Doccia, nacque la Manifattura che dalla famiglia dei Marchesi Ginori prese il nome, fondata da quel Carlo Ginori (1702-1757) che è sicuramente uno dei personaggi della nostra regione che meglio ha attuato, applicandoli in vari campi, i principi informatori del l’Illuminismo. Legato a Cortona in quanto Lucumone dell’Accademia Etrusca negli anni 1750 e 1751, donò all’Accademia stessa quel famoso “Tempietto” ora conservato presso il nostro MAEC, lo stesso che durante l’estate verrà esposto al Bargello di Firenze in occasione della Mostra “La fabbrica della Bellezza”.

Suo nipote Leopoldo Carlo Ginori Lisci sarà, in seguito, non solo il datore di lavoro del nostro concittadino Domenico Lorenzini ma anche il generoso sovvenzionatore degli studi dei figli di Domenico stesso: Carlo Collodi e di suo fratello Paolo Lorenzini il quale, guarda caso, nominato Direttore della Manifattura di Doccia nel 1745, ne determinerà il periodo di maggior sviluppo .

Carlo Ginori, vero erudito in molti campi dell’arte e della scienza, studioso tra le altre cose di fisica e chimica e conoscitore di testi alchemici, nel 1737 aveva appunto fondato la Manifattura di Doccia, e nell’impresa impegnò ingenti capitali e una continua attività di ricerca e sperimentazione tecnica tesa soprattutto alla scoperta del segreto per ottenere la perfetta miscela di terre e minerali utili a creare una porcellana il più possibile simile a quella cinese. Da perfetto cultore del “progresso scientifico, morale, sociale e politico” e quindi nell’ottica di una pervicace ricerca dell’ innovazione e sperimentazione, aveva, tra le altre cose, introdotto in Toscana l’allevamento della capra d’angora, la coltivazione di alcune piante esotiche, la bonifica degli acquitrini delle sue tenute in vicino a Cecina precorrendo così delle paludi maremmane messe in atto dai granduchi lorenesi. Sempre a Cecina, luogo in cui era proprietario di una villa sul mare, fece costruire un piccolo porto e un’attività manifatturiera per la lavorazione del corallo per la cui pesca organizzò addirittura una squadra di 17 feluche. In qualità di Governatore Civile di Livorno oltre a favorire l’espansione commerciale del porto di Livorno mediante l’allargamento delle esportazioni, fece erigere un Conservatorio per i poveri ed un borgo alla periferia della città.

Insomma, spero di esser riuscita a far intuire a chi legge che, al contrario di quello che si potrebbe pensare, questi personaggi non erano semplicemente eruditi dediti a sterili studi, ma persone che, sensibili al destino del loro paese, attraverso il loro impegno assiduo nello studio e nella ricerca si rendevano competenti in molti campi, si informavano costantemente su quello che accadeva altrove ed elaboravano teorie per trovare le soluzioni d’interesse pubblico e per distruggere le superstizioni.

Purtroppo però, al momento di questa Relazione, l’Italia è ancora divisa in vari Stati, per trasportare le merci da un luogo all’altro si devono pagare esosi dazi, il territorio Comunale di Cortona, per di più, confina per buona parte con quello di un altro Stato: lo Stato Pontificio. E allora l’Avvocato Fierli si rivolge all’autorità pubblica perché:

Manca soltanto a questa Fabbrica un pezzo di strada comoda, e facile, che da luogo ove ella è situata, arrivasse fino alla strada regia meno di un miglio lontana. Parrebbe che il Pubblico riconoscente dovesse immediatamente ordinarne la costruzione, perché la di lei spesa, oltre a non esser grave, verrebbe ampiamente ricompensata dall’utile che porta al Paese una manifattura di tanta importanza……. Ogni risparmio benché, o di tempo nei trasporti, è un guadagno considerabile, e prezioso per i Negozianti, perché li mette in grado di intraprender maggiori affari e di dar loro merci a un prezzo capace di sostener la concorrenza dello Straniero.

Insomma, a leggerla oggi, questa relazione sembrerebbe dimostrare che nel corso dei secoli non sono mancate persone con grandi capacità imprenditoriali e con intenzioni più che generose, ma che queste ottime premesse hanno poi, quasi sempre, cozzato con la necessità di essere supportate da un potere pubblico che, non potendo favorire le necessarie condizioni (nel nostro caso una semplice strada che permettesse collegamenti più facili) non hanno permesso che attività economiche si consolidassero e si espandessero in modo da divenire occasione di sicurezza e benessere per la collettività.

Antonella Scaramucci

Vi chiederete il perchè di questa foto. Beh, prima di tutto perchè crescendo sono peggiorata. E poi perchè, dovendo parlare di Pinocchio e delle origini cortonesi di Collodi, è bene tornare ai tempi in cui il mio babbo Folco me lo leggeva alla sera, facendosi (pure lui) delle grosse risate

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Antonella Scaramucci
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