La questione israelo-palestinese va avanti ormai da anni, in un clima di morti, rivendicazioni e trattati vani. Parlarne, riassumendone le cause e le vicende, in poche righe, sarebbe impegnativo e sicuramente riduttivo. Dunque invito di cuore quanti volessero approfondire la questione, a consultare questo opuscolo abbastanza esaustivo per farsi un’idea di quanto è accaduto e sta accadendo nel Vicino Oriente.
Mercoledì mattina, nella sala La Moderna, è avvenuto a tal proposito un interessantissimo incontro con Nurit Peled Elhanan, premio Sakharov nel 2001 e neo premio “Semplicemente donna”, a cui abbiamo partecipato noi delle classi dell’ultimo anno dell’Istituto Signorelli di Cortona. Nurit è professoressa israeliana di lingue ed educazione all’Università Ebraica di Gerusalemme e un’attivista nel campo dei diritti umani. Da circa un mesetto, è uscito in Italia il suo libro “La Palestina nei testi scolastici israeliani: ideologia e propaganda nell’istruzione”, uno studio condotto su centinaia e centinaia di testi scolastici israeliani che fa emergere contraddizioni storiche e profonde distorsioni della realtà, a discapito dei palestinesi.
L’incontro inizia, mi ritrovo davanti, prima fila– un po’ perché costretta, un po’ perché secchiona nel profondo. Nurit è una di quelle persone che non ti stancheresti mai di ascoltare, che quando racconta cosa ha visto, cosa ha vissuto, ti guarda negli occhi, ti fissa, e non distoglie lo sguardo fino a che non capisce di averti conquistato, per poi concentrarsi su un altro spettatore. Parla in inglese, un bell’inglese, semplice, e stranamente la platea è silenziosa, attenta. La scrittrice ci espone gli esiti del suo studio: i palestinesi sono chiamati arabi su cammelli, rappresentati come terroristi, nemici che attentano alla democrazia e alla libertà dello stato di Israele; le cartine geografiche presentano confini alterati, fasulli, che non rispettano quelli, per così dire, ufficiali; gli eventi storici sono anch’essi manipolati e la giustificazione del massacro è evidente – i fatti del ’48, quando centinaia di palestinesi furono uccisi e villaggi resi al suolo, in nome della nascita di uno stato indipendente, non sono negati o elusi, anzi, sono definiti necessari e positivi per lo stato ebraico; da ciò ne viene un indottrinamento di natura razzista, agli studenti israeliani viene insegnato ad odiare il proprio vicino – i cosiddetti arabi o non-ebrei – perché estraneo e nemico della propria cultura. Al culmine di questa propaganda, gli slogan del tipo “la vita dei nostri soldati vale più della vita dei civili nemici” e il servizio militare obbligatorio per i ragazzi israeliani.
Nurit prosegue con il suo discorso e se, in alcuni momenti riferisce con fermezza numeri sconcertanti di famiglie sterminate e bambini tagliati a pezzi con l’uso di armi illegali, in altri alza la voce, appassionata, parlando di olocausto a Gaza, e non vergognandosi di usare impropriamente quella parola ma anzi, ripetendola più volte. Perché di olocausto si è trattato, e di olocausto si tratta ancora: gli abitanti sono circoscritti in determinate aree e Israele ha distrutto le centrali elettrice, privando la popolazione palestinese di acqua potabile, fognature ed elettricità. I bambini palestinesi per andare a scuola devono svegliarsi alle tre di notte, raggiungere i check point – delle frontiere sparse qua e là, sui muri, che dividono popolazione palestinese e israeliana – con la speranza di poter passare indenni.
Nurit parla anche del suo vissuto, accenna ad un bambino torturato e gambizzato che ha incontrato legato al letto di un ospedale e trasferito, una volta guarito, in tribunale per un processo, perché sorpreso con un coltello. Niente avvocato e niente prove concrete sulla presenza del coltello nel suo zaino. Accenna anche a sua figlia di tredici anni uccisa nel ’97, durante gli scontri, ma ne parla in modo fugace, quasi decisa a non voler attirare compassione su di sé.
Da anni ormai – ci dice Nurit – lei stessa è considerata una traditrice della patria, un’anti-sionista, e da tempo non viene più invitata ai convegni, e alle iniziative legate alla sua università. Il prezzo da pagare, sì, ma nulla in confronto a quello che pagano i palestinesi ogni giorno, afferma.
Il pubblico è incuriosito, e non mancano le domande e gli interventi. Nurit risponde cortese, e prende le distanze dal popolo israeliano, dalla sua città, precisando sempre they, not me.
Grandi applausi e soddisfazione generale, proprio un bell’incontro. Finalmente anche a scuola si parla di attualità, di presente, e non lo si fa con le slide e con i numeri, ma con una testimonianza d’impatto, capace di arrivare alle persone e di trasmettere quello che nei libri di storia non si trova. Alla base di tutto, c’è l’informazione, o educazione civica, chiamatela come volete, e l’istruzione nelle scuole è il primo passo per risolvere qualsiasi conflitto. Se non sono i giovani i primi ad essere informati, se non è la futura generazione, i futuri votanti, i futuri uomini e donne, a chi spetta il compito di fare qualcosa di utile perché certe cose non accadano?
Concludo con due appelli. Il primo, al comune di Cortona: perché non estendere questi incontri a tutta la cittadinanza? Perché limitare una così importante testimonianza a sole due classi dell’istituto, e non organizzare invece, un incontro aperto a tutti sfruttando luoghi d’impatto quali ne possediamo a Cortona? Sarebbe stato bello vedere i cittadini cortonesi, di tutte le età, perché non capita tutti i giorni di ospitare una così grande donna nel nostro paese.
Secondo appello, indirizzato agli insegnanti temerari, coraggiosi, pronti a non attenersi ai programmi di studio stabiliti dal ministero: trovo assurdo che in quinta superiore il programma di storia si chiuda, per i più, con la nascita della Repubblica, nel ’48, tralasciando più di cinquant’anni di storia fondamentale per capire il presente; tanto rispetto per le guerre puniche, ma non si potrebbe sintetizzare la storia antica, a favore di quella contemporanea? Parlando degli Anni di piombo, della caduta del muro di Berlino, di Falcone e Borsellino, dei narcotrafficanti in Colombia. Forse sarebbe più utile, e si formerebbero delle menti più attuali e consapevoli.
Infine, dispiaciutissima per quanti non abbiano assistito a questo incontro, consiglio la visione di questo video:
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cara Rebecca,
il programma di storia delle classi quinte secondo le disposizioni ministeriali DEVE comprendere tutto il 900. Quindi, se è vero che è pressoché impossibile riuscire a trattare effettivamente tutti gli eventi di un secolo così "denso", è altrettanto indiscutibile che, partendo magari da alcuni argomenti chiave per comprendere l'attualità, sia categorico formare le giovani generazioni anche sul secondo dopoguerra. Condivido inoltre pienamente l'appello che rivolgi al Comune e spero di poter assistere più spesso insieme a studenti e cittadini cortonesi a momenti come quello di mercoledì.
Cordialmente
Serena Domenici