Non bastano i Tg imbottiti di statistiche e numeri, i quotidiani farciti di rimproveri e polemiche e i talk show che paiono sempre più gare tra chi urla di più, a rivelarci una civiltà sull’orlo del baratro; da oggi, in libreria, c’è anche Paolo Zardi a ricordarcelo, con il suo ultimo romanzo, XXI secolo, edito da Neo edizioni.
Una donna entra in coma in seguito ad un ictus e il libro di Zardi ha inizio. La vita del marito comincia così ad essere scandita da regolari consuetudini per tener salda l’idea di un’esistenza dignitosa: badare ai figli, vegliare sulla moglie addormentata in ospedale, occuparsi della casa e continuare a esercitare la sua professione. Conciliare il tutto, accettare la tragedia e trovare uno spiraglio di luce non è semplice; lo è ancora meno se il mondo là fuori sembra non aiutare e anzi, pare incrementare la sofferenza; diventa addirittura impossibile quando il marito scopre, in seguito al ritrovamento di un cellulare segreto della moglie, di aver dedicato lunghi anni della sua vita ad una donna che lo tradiva regolarmente con un altro uomo.
In un mondo degradato, come ce lo presenta lo scrittore padovano, cosa succede se anche le poche certezze che si possiedono vengono smantellate? Vale sempre la pena lottare per ciò che si ama, ma non sempre basta l’amore oblativo se entra in campo la finzione e la consapevolezza di una realtà illusoria. Il protagonista non si arrende, è vero, ma ormai ha smesso di crederci e si trova catapultato in una realtà che non gli appartiene, e non sa nemmeno lui come ha fatto a finirci dentro.
L’autore
Paolo Zardi ci presenta un XXI secolo in cui regna il caos, la disoccupazione e il malessere, in cui non si riescono a distinguere fatti realmente accaduti da avvenimenti fittizi volti a delineare una civiltà ormai arresa e passiva. Le persone hanno smesso di lottare e la morte sembra l’unica via di fuga dalla crisi economica e dei costumi. Lo stesso ictus di Eleonore è un veicolo per fuggire da una realtà post apocalittica senza futuro; e la moglie che abbandona la famiglia all’atroce destino, insieme all’inutilità del mondo e all’incosistenza della vita, ricorda molto il romanzo La strada di McCarthy che, se la dovessi immaginare, questa fatidica Strada, assomiglierebbe molto alla copertina di XXI secolo, magari con qualche albero di traverso. Se McCarthy non specificava cause e confini della realtà da lui descritta, Paolo Zardi, al contrario, individua spazio (l’Occidente, in cui tutto sembrava andare bene) e tempo, più o meno precisato. E questo ha un che di terribile. Leggere di un deterioramento fa sempre effetto, se poi questo viene contestualizzato si raggiunge lo sgomento.
Che Zardi parli della morte non stupisce, già era stata la protagonista assente della raccolta Il giorno che diventammo umani edita sempre da Neo edizioni nel 2013; stupisce il suo copione, sempre vario ma mai felicemente epicureo: è la morte di una società, e non c’è possibilità di resurrezione ne’ di espiazione. Con una narrazione iperbolica e sicuramente sfiduciata, XXI secolo offre un punto di vista straniato quanto tragicamente realista che ammette solo l’esistenza di un presente e di un passato da dimenticare all’istante.
Copertina
Zardi sfoggia ancora una volta la sua scrittura decisa e riflessiva, questa volta forse con qualche nota drammatica di troppo, ma d’altronde, questo è lo specchio della società che ha voluto rappresentare. La sua indole intimista lascia grande spazio a intense riflessioni, che spesso e volentieri già sono scaturite nella mente di chi legge. A volte sarebbe bello vedere più fiducia nei confronti del lettore e lasciare a quest’ultimo il compito di interpretare e decodificare gli eventi. Si può inserire una considerazione anche solo nella descrizione di un movimento o nello scambio di battute tra due personaggi: il lettore si divertirà ad indovinarla e a condividerla o meno. Stefano Benni, del resto, ha saputo infilare nel personaggio di Margherita Dolcevita, nell’omonimo romanzo, le più profonde riflessioni dell’animo umano, partendo da una ragazzina un po’ strana e da una realtà onirica. Lancio un grido: vorrei uno Zardi più misterioso e allusivo, surreale e kafkiano, e poi chissà, che strano cocktail ne verrebbe fuori.