Lo stupido canzoniere ritorna dopo un bella pausa pasquale per parlarvi dello scheletro che infesta l’armadio di buona parte di voi lettori: quello di Max Pezzali. Oddio, non si tratta proprio di uno scheletro – anzi direi che ne ha mangiata di polenta, il figlio dei fior(a)i di Pavia -, ma l’aver venerato gli 883 nella propria preadolescenza non è una cosa di cui in molti si vantino. Eppure la quasi totalità, tolti i soliti snobboni, di coloro nati tra gli ultimi anni Settanta e la metà abbondante degli anni Ottanta (la generazione Bim Bum Bam, per intenderci), non potranno negare di aver avuto perlomeno una musicassetta di Hanno ucciso l’uomo ragno e di lasciare una mezza lacrimuccia al suono di clacson che apre Nord Sud Ovest Est.
Gli 883 furono un fenomeno commercialmente imponente, capace di catalizzare masse di infanti e adolescenti brufolosi con melodie accattivanti, testi sghembi e lo sguardo alla Robocop del loro leader (accompagnato, nelle prime indimenticabili esibizioni, dal biondino danzerino che leggende metropolitane, pare infondate, sostengono interpreti Pippo ad EuroDisney). Sarebbe facile catalogare la loro produzione come “trash”, se non fosse che ormai sono passati vent’anni dal loro primo album (quello sugli sgarri alle industrie di caffè) e già siamo in fase revival/assolutoria. Pochi giorni fa un sito di musica gggiovane, tale Rockit, ha messo online un disco di cover delle canzoni di Pezzali & Repetto ad opera delle nuove leve della musica indie italiana (qui il link per scaricarlo). Lavoro interessante, in cui si tributa il giusto ringraziamento a un pezzo fondamentale, per quanto rinnegato, della cultura di una generazione. Se c’è qualcosa da riconoscere agli 883, è stato – almeno nei primi anni – il sapersi fare interpreti delle idee del loro pubblico, esattamente come il Vasco Rossi di dieci anni prima. Se eri un ragazzetto nei primi anni ’90, ti identificavi negli scenari e nelle parole di Pezzali, come del resto di Jovanotti (maledetto Cecchetto). L’uso dello slang giovanile nei testi, che oggi fa sorridere, li rende repertorio da studiare e conservare. Come per i film di Vanzina e Neri Parenti: alla fine fotografavano un’epoca. Pezzali fotografava l’epoca del Karaoke e di Non è la Rai, ed è forse questo il motivo per cui ce ne vergogniamo. Terribilmente.
Il consiglio per l’acquisto della settimana è la compilation di cui sopra (Con due deca, l’orribile titolo), che per la gioia dei discografici è gratuita e legale. Unico appunto: fa sempre sensazione il tono timidino e minimalista del cantato di questi gruppi indie (uno su tutti, I Cani), vilmente spacciato per superiorità intellettuale. Troppi anni di Vaschi e Ligabuoi hanno evidentemente fatto terra bruciata della voglia di alzare la voce (e il dito).