Si è parlato dei Bee Gees in particolare negli ultimi giorni, a causa delle sciagurate condizioni di Robin Gibb, unico (sin qui) sopravvissuto di quel formidabile gruppo assieme a Barry. I fratelli Gibb hanno scritto una pagina fondamentale della storia della musica pop, dai primi successi degli anni ’60 fino alla redditizia deriva disco degli ultimi anni ’70, rendendosi complici di quel monstrum musico-commerciale che fu Saturday Night Fever.
Di solito quando sento parlare di disco music, giontravòlta, born-tu-bì-élàiv, mi vengono in mente mia madre e le feste di Capodanno in piazza. Spesso entrambe le cose insieme. Il motivo lo ha spiegato con chiarezza uno dei protagonisti della serie tv Glee, che qualche settimana fa ha dedicato l’episodio meno visto della sua storia (un caso?) proprio alla musica disco: invitato a cantare qualche brano della “Febbre del Sabato Sera”, ha opposto resistenza ricordando che “questa è roba che ascoltano i nostri genitori“. Perché non ci vengono in mente le stesse parole quando parliamo di James Taylor, i Beatles, i Rolling Stones, Bowie? In fondo l’epoca è la stessa. Eppure il fatto è proprio questo: la disco music ebbe il pregio (e il difetto) di essere la perfetta espressione di un determinato periodo storico, quello del riflusso dal politicismo esasperato dei primi anni ’70, e si legò a doppio filo con gli anni che la videro affermarsi. Dire disco significa dire pantaloni a zampa, capelli lunghi, palle luminose e piste da ballo colorate. In altre parole, un genere che non si è mai evoluto, ma ha chiuso la propria esistenza quando un suo carismatico esponente, Michael Jackson, ha sparigliato le carte creando il pop commerciale degli anni ’80. Il problema è che neppure la cultura vintage ha avuto sin qui – eccetto qualche momento di gloria a fine anni ’90, ricordate Anima mia di Fabio Fazio? – grande voglia di recuperarne forma o (fortunatamente per noi) contenuti. Riascoltiamoci, comunque, la fortunatissima colonna sonora del film con John Travolta: non tutto è da buttare, e How deep is your love, assieme a If I can’t have you (quest’ultima nella versione originale dei Bee Gees) rimangono piccoli capolavori pop, capaci persino di superare le anguste maglie del genere disco.
Consigli per gli acquisti
Jason Mraz lo conoscono tutti, dopo il grande successo di We sing, we dance & we steal things del 2008 (ditemi chi non ha canticchiato I’m yours). Ha appena tirato fuori il suo ultimo album, dal titolo Love is a four letter words: robina easy, gusto pop-folk, una specie di Ben Harper poverello. Due ascolti al massimo. Consigliate: The woman I love, Everything is sound, Frank D. Fixer, 93 million miles.
Ben diverso il nuovissimo MTV Unplugged di Florence + the Machine, interessante inteprete inglese di pop alternativo, qui alle prese con gli arrangiamenti essenziali della formula “senza cavi”. Tutto consigliato, ma in particolare sentitevi il duetto sulle note di Jackson (di Johnny Cash) con Josh Homme dei Queens of the stone age.
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