Sono andato fino a Cavriglia, anzi Vacchereccia (piccola frazione del comune valdarnese) per poterlo finalmente incontrare. D’altronde è dal 1988 che mi interesso di caso Moro e questo interesse è nato esclusivamente grazie a lui e alla sua attività di saggista, perchè se non avesse scritto La Tela del Ragno ormai 28 anni fa (e non fosse venuto a presentarlo a Cortona) probabilmente io avrei passato diverso tempo della mia vita a leggere altre cose, ma soprattutto noi italiani ancora crederemmo alle presunte verità raccontateci da qualche brigatista pentito / dissociato e sapremmo tante cose in meno sulla nostra storia recente.
Sergio Flamigni è un simpatico ragazzo del 1925, con 91 anni sulle spalle ma la grinta e l’entusiasmo di un ragazzino. Fu partigiano antifascista, poi fece attività politica nel PCI fino all’elezione alla Camera dei Deputati nel 1968.
Alla fine degli anni ’70, mentre era parlamentare, fu inserito nella Commissione d’inchiesta sul caso Moro. Poteva prendere quell’incarico con una certa serenità, saltando pure qualche seduta come facevano tanti dei suoi colleghi. Ma lui era di una pasta diversa: quella nomina la prese sul serio e fece del cercare la verità una ragione di vita.
Da quel momento iniziò ricerche e inchieste a tappeto, senza paura, senza fermarsi di fronte a nulla, con un’energia e una risolutezza davvero unica, intatta ancora oggi. La sua naturale pignoleria, combinata con la testardaggine e la forza di volontà, fecero il resto. Dal 1988, appunto con La tela del ragno, decise di iniziare a divulgare l’enorme mole di elementi acquisiti al grande pubblico, facendo sì che del caso Moro, ma più in generale degli anni di piombo, si ricominciasse a parlare. Non solo per una valutazione storica, ma anche e soprattutto per capire come erano veramente andate le cose, perchè esse potevano essere andate in modo radicalmente diverso da quello che pensavamo fino a quel momento.
E’ da quel 1988 che, in scia al suo lavoro, il caso si riaprì e, a pioggia, iniziarono ad arrivare centinaia di altri libri di altri autori. Molti di essi non la pensano come Flamigni e rileggono tanti indizi ed elementi in modo anche opposto. Alcune certezze, però, restano e la verità processuale, a 38 anni di distanza da quei 55 giorni, è sicuramente incompleta e insoddisfacente e si può tranquillamente affermare che il contributo nella scoperta di nuove cose dei vari saggisti (Flamigni e tanti altri) è stato probabilmente più utile di quello di buona parte della Magistratura e degli organi dello Stato.
E ha ancora senso, a 38 anni di distanza, vista la valenza storica di quell’evento per quella che è la vita politica che oggi viviamo, continuare a indagare e cercare Così come ha ancora senso scrivere libri nuovi come Patto di omertà, la sua ultima fatica, per aggiornare sullo stato delle cose
Una certezza, almeno una, comunque c’è. Che Sergio Flamigni, sia che lo si consideri lo scopritore della verità sul caso Moro o (al contrario) un interprete di una possibile versione non priva di (inevitabili) limiti, è un uomo a cui noi italiani, tutti, dobbiamo una grande riconoscenza.
E permettetemi di ringraziare anche il Comune di Cavriglia, che chiamandolo ha dimostrato indubbiamente un grande coraggio, il parroco della Chiesa che ha ospitato l’iniziativa (indubbiamente uomo illuminato), e i tanti (ma davvero tanti!) presenti.
A presto in Valdichiana, caro Sergio!