Scartare di lato e cadere

Un rimedio per la peste dalla Cortona del Cinquecento

Tra luglio e agosto, qualche decina di milanesi è stati colpita dalla legionella, malattia infettiva che si trasmette attraverso l’acqua e gli impianti di condizionamento; alcuni di loro, purtroppo, non ce l’hanno fatta. Notizie come questa, unite all’ormai infinito dibattito sui vaccini, mi hanno spinto ad approfondire il tema delle epidemie nella nostra Cortona. Pensate forse che non ce ne siano state?

Ebbene, la peste è arrivata anche da noi, in passato. Per esempio, posso confermare un focolaio nel 1469 (se ne parla in un codice conservato nella Biblioteca Palatina di Parma che sto studiando) ed un altro nel 1502. Quest’ultimo è per noi importante, perché vi morì il figlio di Luca Signorelli, Antonio, pittore come il padre. Si racconta che il Signorelli prese ispirazione dal cadavere del figlio per raffigurare il Cristo morto del Compianto realizzato in quei giorni per la chiesa di Santa Margherita (oggi conservato al Museo Diocesano).

Luca Signorelli, Compianto sul Cristo morto (1502). Tempera su tavola (270×240 cm), Museo diocesano di Cortona. Dettaglio.

È necessario a questo punto fare una piccola precisazione: quando le fonti antiche parlano di “peste”, non è detto che ci si riferisca sempre alla terribile malattia descritta da Boccaccio nel Decameron o da Manzoni nei Promessi Sposi, con i bubboni e il resto. È plausibile che fossero chiamate “pesti” anche altre malattie infettive mortali – e in un’epoca in cui non c’erano norme igieniche sensate e nessuna tipologia di antibiotico, erano quasi tutte letali.

Che fosse peste o altro, i malati venivano confinati in uno spazio separato dalla città, per assicurarsi che non ci fosse contatto con i sani (probabilmente l’unica idea sensata sul piano medico!). La quarantena era assicurata nel lazzaretto, che a Cortona si trovava ben distante dalle abitazioni, nell’area dei campi da tennis del Parterre.

Il protagonista del nostro articolo è un medico, Giovanni da Volterra, che prestò servizio a Cortona durante una delle epidemie cinquecentesche: chissà, forse proprio quella del 1502. “Medico” è una parola grossa, in quell’epoca: diciamo che era una via di mezzo tra un erborista, un macellaio, uno stregone e un ciarlatano. Personaggi come lui inventavano soluzioni improbabili ai morbi, facendo decotti con le piante medicinali e dissanguando persone già debilitate (la ben nota procedura del salasso).

Leonardo Fioravanti (1517 – post 1583)

I rimedi trovati contro la peste da Giovanni a Cortona sono descritti in un curioso libretto, pubblicato in prima edizione nel 1565 dal bolognese Leonardo Fioravanti, anche lui medico e autore di diversi trattati di medicina (qui alcuni dati biografici). Il volumetto si intitola Del regimento della peste, dell’Eccellente Medico et Cirugico M. Leonardo Fioravanti Bolognese, nel quale si tratta che cosa sia la peste, et da chi procede, et quello che doveriano fare i Prencipi per conservar i suoi popoli da essa, et ultimamente, si mostrano mirabili secreti da curarla, cosa non mai più scritta da niuno in questo modo. Praticamente si tratta di un manuale fai-da-te per la cura della peste, e può farci piacere scoprire che le pagine 23 e 24 sono dedicate ad un metodo messo a punto a Cortona. Leggiamole:

 

Rimedio, che faceva Maestro Giovanni da Vulterra, Medico Eccellentissimo per liberare quegli che erano appestati. Cap.  XV.

Io truovo, che questo Maestro Giovanni fu un Eccellentissimo Medico, sì nell’una, come nell’altra professione (1), et che nel tempo, che fu un’horribil peste a Cortona, et in molte terre circonvicine, ne sanò una infinità, con alcuni rimedii trovati da lui, i quali facevano grande esperienze, et con essi si salvò la vita a molti uomini, et donne di quei luoghi, et il rimedio, che questo Eccellente Medico usava: era questo, cioè la prima cosa, che questo faceva, era la flebotomia, cioè il cavarli sangue della vena communa (2), et gli faceva ungere il stomaco (3) con teriaca (4), liquefatta (5) con olio d’ipericon (6) sera, et mattina, et li faceva pigliare dui siruppi (7) al giorno all’hora che essi facevano la untione, i quai siruppi erano questi, cioè sirupo acetoso (8), et rodamel colato (9) ana onc. 1 (10), acqua di boragine oncie 4 messe insieme (11), et fatto che avea questo li faceva pigliare ogni mattina tre hore avanti giorno un’altro sirupo fatto in questo modo, cioè, Pigliava tormentilla (12), iva artetica (13), carlina (14), gentiana (15), zedoaria (16), ditamo bianco (17), un manipulo per ciascuno (18), aloe patico (19), incenso in goma (20), ana onc. 1 et con le sopradette cose faceva una decottione (21), et colata la faceva sirupare, secondo l’arte de gli aromatarii (22), et questo era il sirupo, quale havea parte del mondificativo, et parte del solutivo (23), et con questi rimedii, ho trovato io che faceva miracoli al mondo, et non mi pare che sia cosa fuori di proposito; percioché se noi vogliamo considerare gli ingredienti, ch’entrano in tai medicamenti trovaremo, che difendono il cuore dalle cose velenose, conservano, et mondificano il corpo da qualsivoglia corruttione, o putrefattione, effetti tutti molto appropriati in tale infermità di peste, come dalla esperienza si vede.

Note
Nella trascrizione ho mantenuto la grafia e la punteggiatura dell’originale, aggiungendo le virgole dove necessario, correggendo due accenti ( e percioche) e togliendo le h non più in uso.

1) Per Fioravanti, un dottore doveva essere tanto “medico” (cioè saper usare le piante medicinali e i composti chimico-alchemici) quanto “cirugico” (chirurgo).

2) Il famoso salasso, cioè il prelievo di ampie quantità di sangue nella convinzione che in circolo ce ne fosse un’eccessiva quantità e che fosse corrotto o imputridito. La “vena comune” è la vena cubitale mediana, cioè quella del braccio da cui ancora oggi si fanno i prelievi o si dona il sangue.

3) L’addome.

4) La teriaca era un preparato miracoloso contro i veleni in uso già dall’Antichità (il nome viene dal greco θηριακή, che significa “antidoto”). Il principale luogo di produzione era Venezia, dove arrivavano dall’Oriente le spezie che ne permettevano la realizzazione. Gli ingredienti erano numerosissimi (circa sessanta): incenso, mirra, oppio, pepe nero, anice, cannella, genziana, valeriana, finocchio ecc. Tra di essi aveva un’importanza fondamentale il veleno di vipera, in base all’idea che similia similibus, cioè “i mali vanno curati con qualcosa di simile”, che in fin dei conti è anche alla base dell’omeopatia. La teriaca era una crema densa e scura che costava moltissimo.

5) Sciolta e mescolata.

6) Olio estratto dall’erba di San Giovanni (iperico, nome scientifico Hypericum Perforatum, per via dei buchini che si vedono nelle foglie). Come dice il nome, i suoi fiori si raccolgono la notte di San Giovanni, il 24 giugno; si mettono poi a macerare insieme a foglie e boccioli in olio di semi o d’oliva, ottenendo un unguento usato ancora oggi, dalle proprietà cicatrizzanti, lenitive, antiossidanti e antinfiammatorie.

Iperico

7) Sciroppi.

8) Sciroppo di aceto: si può ottenere mescolando zucchero e aceto in una bottiglia e mettendo questa nell’acqua bollente; una volta che lo zucchero si è sciolto totalmente, si cola il tutto. Altra tecnica è sbattere il bianco dell’uovo nell’aceto, aggiungere lo zucchero e mettere il tutto sul fuoco; quando il composto bolle, si può colare lo sciroppo. Si usava per rinfrescare le bevande (da mescolare nell’acqua, tipo idrolitina) e come anti-infiammatorio.

9) Cioè il miele rosato (miele e estratto di rosa centifolia). Si usa per esempio come rimedio naturale al fastidio provato dai bimbi durante la dentizione.

10) L’espressione “ana” era comune delle ricette mediche: significa “una quantità uguale”. Un’oncia corrispondeva a circa 28 grammi.

11) La borragine (Borago officinalis) è una pianta i cui infusi curano le malattie della pelle, le infezioni del cavo orale, la febbre e possono anche ridurre l’apporto calorico.

12) La Potentilla tormentilla, nota come tormentilla, è una pianta i cui estratti sono impiegati nella cura della diarrea e delle infezioni del cavo orale.

13) Il camepizio è noto anche come ivartetica o ivartritica perché allieva gli effetti dell’artrosi.

Borragine

Tormentilla

Camepizio

14) La carlina zolfina (Carlina acanthifolia) è una pianta erbacea perenne. Secondo alcuni, l’origine del nome sarebbe dovuta a Carlo Magno, che la volle usare proprio come rimedio ad una pestilenza; secondo altri si tratterebbe di un altro sovrano, cioè Carlo V (contemporaneo del Fioravanti), e infine c’è chi propone che derivi da “cardino”, nel senso di “piccolo cardo”.

Carlina zolfina

Genziana

15) La radice essiccata della genziana (Gentiana lutea) ha effetti antipiretici e lassativi ed è stata di ampio uso in medicina, prima dell’invenzione del chinino. Foglie e radici fresche sono velenose, per cui può essere comprata solo già trattata in erboristeria.

16) Cioè la curcuma (Curcuma zedoaria), spezia di ampio uso nelle cucine asiatiche. Aiuta la digestione.

17) La frassinella (Dictamnus albus) è un arbusto non molto diffuso, ma molto presente nella letteratura. Ne parlano Virgilio, Giovanni Pascoli e Umberto Eco, ed è protagonista di uno spassoso episodio del Giornalino di Giamburrasca di Vamba.

Frassinella

18) Una manciata.

19) Cioè l’àloe vera, chiamata “epatica” perché il composto medicinale che se ne ricavava, denso e scuro, ricordava vagamente un fegato. Gli effetti curativi dell’aloe sono innumerevoli (in particolare ricordo quelli lenitivi e purganti).

20) Incenso o franchincenso, non in polvere ma ancora in forma di resina (“gomma”).

21) Un decotto.

22) I rivenditori di spezie.

23) Questo rimedio in parte ripuliva (“mondificativo”) e in parte faceva guarire (“risolutivo”).

La ricetta di Giovanni da Volterra, insomma, era un grande potpourri di estratti di piante medicinali note (molte sono ancora usate), che qualcosa dovevano pur fare ai poveri appestati. L’ingrediente segreto, ovviamente, era la preziosissima teriaca, un po’ la panacea di tutti i mali prima che nascesse la scienza medica moderna. Chissà quanti sono stati guariti da questa pozione, e chissà quanti invece hanno aggravato la propria condizione. Tempi strani, quelli: se non ti ammazzava direttamente la peste, ci pensavano i medici!

Alessandro Ferri

Quando non si deprime, dimostra doti da intrattenitore e intellettuale della Magna Grecia. Si consola delle abituali sconfitte ascoltando quintali di musica.

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Alessandro Ferri

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