Scartare di lato e cadere

Settantacinque anni dopo, Cortona celebra l’anniversario della sua Liberazione

Sabato 6 luglio 2019 Cortona ha celebrato, per la terza volta nella sua storia, l’anniversario della sua liberazione dall’occupazione tedesca, avvenuta il 3 luglio 1944. La terza volta, perché a differenza del 25 aprile, ricordato annualmente in quanto festa nazionale, il 3 luglio è stato oggetto di manifestazioni solamente in occasione del cinquantesimo (1994) e settantesimo (2014) anniversario. Organizzare qualcosa per il settantacinquesimo sembrava difficile, visto l’insediamento tardivo della nuova Giunta, avvenuto appena quattro giorni prima della ricorrenza. Va riconosciuto all’Amministrazione comunale il merito di aver allestito in breve tempo una cerimonia sobria e adeguata alla circostanza.

Dopo la deposizione delle corone sulle lapidi ai lati del portone del Palazzo Comunale e l’esecuzione del Silenzio fuori ordinanza da parte di Simonluca Fanelli, l’iniziativa si è spostata nella Sala del Consiglio Comunale.

Per il venticinquennale della Liberazione di Cortona (luglio 1979) non furono organizzate manifestazioni, come conferma il gustoso calendario del mese scritto da Don Bruno Frescucci per l’Etruria (numero di settembre 1979)

Il primo a prendere la parola è stato il Sindaco Luciano Meoni, che ha ricordato la condizione privilegiata delle nostre generazioni, beneficiate dal periodo di pace più lungo da secoli. Il nostro compito è promuovere il ricordo e il rispetto nei confronti di quanti hanno perso la vita allora, affinché tragedie come quelle che caratterizzarono i giorni dell’occupazione non si ripetano.

Il Presidente del Consiglio Comunale Nicola Carini ha definito il ricordo della Liberazione “un dovere non solo politico, ma anche morale”, che occorre tramandare alle giovani generazioni. Le ricorrenze, ha proseguito, servono per ricucire e promuovere il rispetto reciproco; i cortonesi dovrebbero mantenere alti i valori di solidarietà, condivisione e amore verso il prossimo dimostrati in quei tempi difficili, come testimoniato da Pietro Pancrazi ne La Piccola Patria.

Il poeta britannico Robert Laurence Binyon (10 agosto1869 – 10 marzo1943)

A rappresentare il Regno Unito – Cortona fu liberata dall’Ottava Armata britannica – era presente il nostro concittadino Andrew Underwood, già comandante della Marina Reale britannica. Il suo toccante discorso (si è rammaricato perché “la Liberazione è avvenuta troppo tardi per evitare stragi come quella di Falzano”) si è concluso con la lettura dell’Ode of Remembrance (“Ode della Rimembranza”), componimento del poeta Laurence Binyon pronunciato nel mondo anglosassone ogni volta che si ricordano i Caduti nella Grande Guerra:

They shall grow not old, as we that are left grow old:
age shall not weary them, nor the years condemn.
At the going down of the sun and in the morning,
we will remember them.

Loro non invecchieranno, come noi lasciati ad invecchiare:
la vecchiaia non li logorerà, né gli anni li condanneranno.
Al calar del sole ed al mattino,
noi li ricorderemo.

Emanuele Rachini, presidente della sezione cortonese dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), ha ringraziato l’Amministrazione per l’invito e ha citato un gustoso aneddoto di Giorgio Spini relativo al 3 luglio 1944. Visto che la stessa citazione, più in dettaglio, è servita per chiudere la relazione di Mario Parigi, la potete leggere alla conclusione di questo articolo.

Ernesto Gnerucci, presidente della sezione di Cortona-Arezzo “Alberto Ciampi” dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia (ANArtI), è intervenuto a nome delle associazioni combattentistiche e ha sottolineato “l’opportunità e la necessità di non dimenticare quanto accaduto nel territorio, in modo che i giovani possano mantenere il ricordo”. I fatti del luglio ’44 “non si conclusero con l’arrivo dei britannici, ma proseguirono anche nelle ore a venire, ad esempio con i combattimenti in Valdiloreto e il gesto eroico di Tullio Fabianelli, che tagliò la miccia dell’ordigno che avrebbe fatto saltare il ponte di Mezzavia” (episodio narrato da don Aldo Garzi ne La Piccola Patria).


Dopo i saluti introduttivi, è giunto il momento della relazione di Mario Parigi, che ha ricordato l’importanza del 3 luglio, data in cui ebbero termine, a Cortona, la guerra civile, la dittatura fascista e l’occupazione tedesca. Sull’uso dell’aggettivo “tedesca”, Parigi è stato perentorio: “non è corretto parlare di occupazione nazista, perché non c’erano solamente SS e nazisti fra gli occupanti, ma anche la Wehrmacht, l’esercito del Reich”.

Nel 2019, la maggior parte dei protagonisti di quella stagione sono venuti a mancare, e la ricostruzione degli eventi deve necessariamente passare per le fonti scritte. I libri riguardanti la Liberazione di Cortona sono i seguenti:

  • Pietro Pancrazi, La piccola patria, Firenze, Le Monnier, 1946 (ristampa anastatica Cortona, Calosci, 2002).
  • Renata Orengo Debenedetti, Diario del Cegliolo. Cronache della guerra in comune toscano: giugno-luglio 1944, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1965 (ristampa anastatica fuori commercio a cura di ANPI Cortona, Accademia Etrusca e Comune di Cortona, 2019).
  • Don Rodolfo Catorcioni, Passaggio del fronte nei monti cortonesi, 1943-1944, Cortona, Editrice Grafica L’Etruria, 1995.
  • Giorgio Spini, La strada della Liberazione. Dalla riscoperta di Calvino al fronte della VIII Armata, a cura di Valdo Spini, Torino, Claudiana, 2002.
  • Janet Kinrade Dethick, Cortona 1944, Fondazione Ranieri di Sorbello, 2014 (in lingua inglese).
  • Agostino Coradeschi e Mario Parigi (a cura di), Arezzo dalla dichiarazione di guerra al referendum istituzionale. 1940-1946, Roma, Carocci, 2008.

La bandiera del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Sapevate che il Pegaso sulla bandiera della Regione Toscana è un omaggio a questo vessillo?

L’occupazione di Cortona coincide con l’Armistizio dell’8 settembre 1943: mentre Vittorio Emanuele III fuggiva a Brindisi, la gran parte del Regno – con l’eccezione delle regioni meridionali già liberate dagli anglo-americani – rimase sotto il controllo dell’esercito tedesco. La Liberazione del paese avrebbe richiesto una durissima campagna militare, durata fino alla primavera del 1945. In attesa dell’arrivo dell’esercito alleato da Sud, le forze resistenti cortonesi, aderenti al Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN), consistevano in quattro diverse formazioni partigiane:

  • Gruppo Patrioti “Libertà”, guidato da Gabriele Ciabattini e operante nella zona della Fratta;
  • Banda Veltroni, guidata da Spartaco Veltroni e operante a Cortona e in Valdichiana;
  • Banda Poggioni, capeggiata da Bruno Valli e operante tra Poggioni e Teverina;
  • Banda “La Teppa”, capeggiata da Cesare Rachini, con base a Cantalena e attiva nella Montagna.

Benché tutte dipendessero dalla sezione aretina del CTLN, le difficoltà di comunicazione e l’estensione del territorio controllato resero le bande cortonesi molto più autonome di quanto ci si potrebbe aspettare.

Non fece parte della Resistenza locale, ma fu un membro di grande importanza del CLN – al punto da divenire, dopo la Liberazione, il primo Sindaco di Genova del Dopoguerra – il cortonese Vannuccio Faralli, cui Parigi ha dedicato alcuni anni fa (2004) una preziosa biografia su incarico di Giuseppe Pericu, Sindaco di Genova, ed Emanuele Rachini, Sindaco di Cortona.

L’affollatissimo comizio di Vannuccio Faralli, già Sindaco di Genova, tenuto a Cortona il 28 luglio 1945

Quando pensiamo ai campi di prigionia, immaginiamo subito panorami del nord Europa, molto diversi dai nostri (se non addirittura le terribili immagini dei campi di sterminio, che però sono un’altra cosa). Va chiarito che anche nella provincia di Arezzo ci furono luoghi di detenzione di questo tipo, tra cui:

  • Laterina (attivo dal 1941; dopo la guerra e fino al ’63 divenne centro di accoglienza per i profughi istriano-dalmati);
  • Renicci (Anghiari; attivo dalla fine del 1942 e tra i più malmessi, con i prigionieri che vivevano nelle tende, in condizioni igieniche tanto precarie che si contarono 159 morti. Prevalentemente rivolto a prigionieri di guerra sloveni, dopo il 25 luglio 1943 accolse gli ex confinati politici antifascisti. Dopo l’8 settembre i prigionieri riuscirono a scappare);
  • Villa Oliveto (Civitella; ospitò in prevalenza ebrei, che nel febbraio del ’44 furono deportati in direzione del campo di concentramento di Bergen-Belsen).

L'”ignota destinazione” cui fa riferimento questo documento del 10 febbraio 1944 è il lager nazista. In tutto, furono deportate 62 persone, tra cui anche una bambina con meno di un anno.

Il caso di Villa Oliveto ci fa capire che ci fu effettiva collaborazione tra le autorità tedesche e le Istituzioni italiane. Già il 25 ottobre 1943, l’appena nominato “Capo della Provincia” (così i repubblichini chiamavano i prefetti) di Arezzo Bruno Rao Torres aveva fatto affiggere un manifesto in cui prometteva

ai camerati germanici, che combattono contro il comune nemico e che tengono lontano da noi la furia della battaglia, l’assicurazione della più sincera e leale collaborazione.

Ma in guerra non ci sono buoni: anche i futuri liberatori, prima di arrivare sui cingolati, si resero responsabili di tragici bombardamenti. Il primo nella nostra provincia si verificò il 12 novembre 1943, colpendo duramente la zona della stazione di Arezzo. Nel corso del conflitto, sul capoluogo caddero in totale 1.800 tonnellate di bombe, mentre tra Camucia e Terontola ne furono impiegate 300.

La tettoia della stazione di Arezzo (esistente fin dall’Ottocento) distrutta dai bombardamenti della fine del 1943

Un ulteriore bombardamento su Arezzo (2 dicembre) provocò la morte di 60 persone, tra cui la moglie del Capo della Provincia Rao Torres. L’episodio fu raccontato da don Rodolfo Catorcioni, che era ad Arezzo quel drammatico giovedì:

Un episodio che portò un profondo turbamento nel mio animo fu quando, nel Dicembre ’43, recatomi ad Arezzo per motivi inerenti la situazione, (viveri, medicine, gomme per la bicicletta), ma soprattutto per fare visita ad una mia parente che lottava nell’ospedale tra la vita e la morte, senza un braccio, con le gambe e altre parti del corpo maciullate, persa tutta la famiglia: babbo, mamma, sorella e fratello venticinquenne, distrutti casa, bottega, magazzini.
Stavo controllando nell’interno di un magazzino sito in via Tolletta, la roba rimasta, non sentii le sirene, ma vidi dall’apertura della porta, la gente che fuggiva e m’immaginai subito di che si trattava. Corsi a prendere la bicicletta che avevo lasciato al ristorante “La Fiorentina”. Stavano scappando tutti, ma uno che mi vide si rivoltò e mi diede la bicicletta. Pensai di andare verso l’ospedale, come luogo più sicuro; presi Corso Italia, voltai verso via Mazzini.Nei pressi di quella chiesetta tutti in pietra, mi pare si chiami Santa Croce, sentii il rumore di una formazione. Uno che mi affiancava disse: non sono per noi perché troppo alti, ma non aveva finito la frase che sentiamo il sibilo delle bombe che cadevano. Il primo sgangio fu verso la stazione, il secondo alle nostre spalle.
Le schegge non mi presero perché le mangiò la curva, però lo spostamento d’aria, incuneatasi fra le mura della strada, mi trasportò per una ventina di metri, sbalzandomi di bicicletta; con le mani sbucciate (allora c’era la breccia e non l’asfalto) rimontai in bicicletta e giù a precipizio per la discesa dell’ospedale. Mi fermai verso i cappuccini accoccolandomi in una buca fatta per piantare gli olivi, dove potevo essere protetto dalle schegge laterali, ma non dal di sopra.
Fu un quarto d’ora d’inferno. Il sole del giorno (verso l’una) proiettava l’ombra di quei funesti grappoli sopra la mia testa, mentre il sibilo mi lacerava le orecchie, capii subito che le bombe non cadevano perpendicolarmente, ma cadendo tacevano una traiettoria obliqua, quindi ogni ombra che passava tiravo un sospiro di sollievo pensando: questa non mi prende più, ma se qualcuno sbaglia?
Quanti pensieri in quei tragici momenti! Tanto per la vita eterna quanto per quella presente! Come ci si sente piccoli in certi momenti.
Cessato l’allarme mi diressi verso l’ospedale, perché dovevo vedere la mia parente e perché pensavo che c’era bisogno non solo dei medici, ma anche del sacerdote.
Spettacolo raccapricciante! Sangue per le scale, lamenti e grida di aiuto tra quelli che arrivavano e fra quelli già sistemati. Persone senza braccia o senza gambe o lacerate in ogni parte del corpo. Feci del mio meglio per assistere i moribondi e consolare i più gravi, poi arrivò il Cappellano, anche lui sorpreso da una bomba verso Saione.
Tutto questo spettacolo, l’angoscia personale provata in quel quarto d’ora di bombardamento, ma soprattutto l’immensa disgrazia causata a quella famiglia dei miei parenti, che per me era una seconda famiglia, provocarono nel mio animo un profondo turbamento, per cui si fece strada in me un sentimento di avversione non solo contro i tedeschi, causa prima di questi disastri, ma anche contro gli alleati. Ecco perché quando sono arrivati a Cortona non ho suonato le campane e non sono sceso a battere le mani.
Si dirà che la guerra è guerra, ma anche i barbari nelle loro rivalità rispettano certe regole morali! Sarà giusto bombardare obiettivi militari, strade, ponti, ferrovie, fabbriche d’armi, etc., ma non popolazioni civili indiscriminatamente solo per destabilizzare un popolo che nella sua grande maggioranza non aveva nessuna colpa della guerra. Io credo che non ci sarebbe stato bisogno neppure dell’ecatombe di Hiroshima e Nagasaki; ci sarebbero stati altri modi più umani per provare la nuova terrificante potenza atomica.

Alle 13.24 del 19 dicembre 1943, a cadere vittima di attacco aereo – per errore, in quanto la sua stazione era stata scambiata per quella di Arezzo – fu Castiglion Fiorentino. Furono colpiti l’Ospedale e il Collegio Serristori, che ospitava all’epoca le figlie degli italiani all’estero. Morirono 71 civili, tra cui 16 ospiti (in prevalenza bambine) del Serristori (qui alcune foto).

Le operazioni militari rallentarono con l’inverno, per proseguire con maggior intensità in primavera. Le bande partigiane continuavano nelle proprie azioni di guerriglia e sabotaggio, spesso con gesti eclatanti. Il 25 maggio 1944 era il limite ultimo per la coscrizione obbligatoria: gli uomini che non si arruolavano erano considerati disertori, passibili di fucilazione. I partigiani aretini si fecero beffe di questo ultimatum, organizzando i famosi fuochi sui monti dell’Appennino toscano:

il capitano [Siro] Rosseti, come stabilito alla fine di aprile, sparò dal Monte Lignano tre razzi rossi; al segnale convenuto il partigiano Renato Mari del 2° battaglione accese un falò sullo Scopetone, seguito da identici fuochi sui monti delle quattro vallate, che ardono per due ore, fino alle 23:15, in segno di sfida ai nazifascisti, che aprirono il fuoco invano. La manovra aveva un preciso significato: venite a prenderci, siamo pronti: quel giorno infatti, Rosseti aveva passato in rivista le formazioni e riconfermato gli incarichi ai partigiani, che erano ora ufficialmente militarizzati. 

La Chiesa cortonese si impegnò direttamente per alleviare le sofferenze della popolazione, in certi casi scontrandosi con i tedeschi (solo in provincia di Arezzo furono 34 i religiosi uccisi durante il conflitto). In questa sede, possiamo ricordare Monsignor Giuseppe Franciolini (salvò numerose opere dall’essere depredate – alcune furono inviate a Firenze, ma quando era troppo tardi altre furono nascoste dietro intercapedini – e nominò ben 40 falsi docenti al Seminario vescovile, così da evitarne l’arruolamento), don Giovanni Salvi (evitò una strage a Tornia), don Vincenzo Ginocchietti (riuscì a evitare che la Chiesa dei SS. Biagio e Cristoforo dell’Ossaia fosse fatta saltare in aria) e don Antonio Briganti (parroco di Fasciano, arrivò a sparare contro le SS per proteggere i propri parrocchiani). Il libro di Pancrazi, nato su richiesta di Franciolini – che in piena guerra chiese ai sacerdoti cortonesi di annotare quanto stava avvenendo – racconta in prima persona le loro storie.

Tra il 4 e il 5 giugno fu liberata Roma, mentre il giorno successivo le forze alleate sbarcavano sulle spiagge della Normandia (D-Day). Le truppe alleate raggiunsero il Trasimeno il 21 giugno 1944. Se pensiamo che Carrara sarà liberata solo l’11 aprile 1945, possiamo capire quanto lunga e impegnativa sia stata la campagna di liberazione della Toscana.

Nel manifesto per le celebrazioni del Settantesimo (2014), una bella foto con le truppe alleate mentre si muovono nella campagna cortonese (in fondo si ravvisa la collina) a inizio luglio ’44

Nei racconti fatti a Parigi dal padre, la notte che precedette il 3 luglio fu caldissima, al punto che lui si azzardò a dormire in terrazza. Una camionetta tedesca in fuga lo scambiò per un cecchino e ricambiò con una sventagliata di mitra – fortunatamente non andata a segno – che è ancora oggi visibile.

Il giorno della Liberazione è raccontato così nel diario di Raimondo Bistacci (Farfallino):

Alle ore 11,45 gli anglo-americani, superate le difficoltà stradali, salgono a Cortona. Il popolo che già gli era andato incontro con bandiere inglesi, americane, nazionali e rionali salta entusiasta sul carro dei primi venuti abbracciando gli inglesi. Suonano ripetutamente le campane di Camucia, di S. Margherita e della torre del Comune. Seguono altri autocarri blindati e più di un migliaio di persone affollano la piazza. Sono presenti il Vescovo, il Segretario Capo, Autorità amministrative e il Pretore. L’incontro è commovente ed entusiasta e gli inglesi si servono della radio posta nelle macchine per le comunicazioni. Vengono dispensate al popolo caramelle e sigarette. Più tardi le autoblinde sfilanti in Rugapiana assommano a 11. Calano dai monti vari partigiani armati e nel pomeriggio si rastrella i capi fascisti e più accesi che vengono condotti in carcere. Circa 80 persone vi passano la notte, poi dopo l’interrogatorio rilasciati con l’obbligo però a 59 fascisti di presentarsi due volte la settimana in Caserma dei Carabinieri per apporvi la firma.

In campagna avviene qualche reazione antifascista e qualche lieve ferimento. Per tutto il contado è festa solenne per la liberazione del popolo dalle violenze e rapinerie tedesche. Tornano a casa in serata molti contadini e ragazzi che si erano nascosti fra il grano e nei fossi dei campi inseguiti e ricercati dai tedeschi. Si chiudono le porte di molte case che i tedeschi vollero che si lasciassero aperte per loro soggiorno e in tutte le contrade si giubila per la venuta degli inglesi e la fine di uno stato di terrore teutonico.

Il “War Diary” compilato dal tenente colonnello Kendal Chavasse, comandante del 56° Reggimento da ricognizione (Recce corp) dell’esercito britannico. La liberazione di Cortona inizia alle 5 del mattino con il controllo dell’area dell’Ossaia

La Liberazione avvenne lunedì 3 luglio, ma le foto che tutti i cortonesi conoscono, scattate da Luigi Lamentini, risalgono a martedì 4. In effetti, il 3 c’era ancora poca tranquillità nella popolazione, se non incredulità. Lo stesso Bistacci racconta che a un certo punto, qualche buontempone – maledetti toscani! – urlò “arrivano i tedeschi”, spargendo il panico e facendo scappare tutti. Va detto che al momento di fuggire, l’esercito tedesco aveva progettato l’esplosione dell’Ufficio Postale, all’epoca situato all’ingresso di Palazzo Casali. Fortunosamente, la bomba non esplose.

Di quelle giornate ci sono anche alcune testimonianze video, grazie ai Combat films girati dagli Alleati (oggi nell’Archivio Luce). Si riconoscono Camucia e i festeggiamenti in Piazza della Repubblica.

Il giugno 1944 e l’inizio di luglio furono un periodo drammatico per la popolazione della provincia di Arezzo. Negli eccidi causati dall’esercito tedesco, in particolare dalla crudele Fallschirm-Panzer-Division 1 Hermann Göring, furono coinvolti circa 1.500 civili inermi.

I soldati alleati morti nella Campagna d’Italia furono approssimativamente 330.000, un numero di poco superiore a quello dei caduti italiani nell’intero conflitto. 256 di loro sono sepolti al Cimitero di Guerra di Foiano, gestito dal Commonwealth War Grave Commission.

I soldati cortonesi caduti nella Seconda Guerra Mondiale furono in totale 244. 41 di loro ottennero delle onorificenze: 2 medaglie d’oro, 8 d’argento, 6 di bronzo e 25 croci di guerra.

Era giunto il momento della ricostruzione, ma anche della pacificazione. Cortona aveva dalla sua una figura di straordinario prestigio, che poté proporsi come paciere tra le fazioni in campo. Chi fosse, ce lo ha raccontato lo storico Giorgio Spini (padre del politico Valdo), che era a Cortona quel giorno in qualità di interprete per l’esercito inglese. Tornato da noi cinquant’anni dopo per l’anniversario, raccontò il “suo” 3 luglio con queste parole:

Di eroico, non ho fatto proprio nulla. Anzi, alla Liberazione di Cortona sono presente quasi per caso. Nel nostro servizio c’era un ufficiale inglese che doveva salire quassù con la Jeep, mentre si combatteva ancora nella pianura sotto Cortona, ma non sapeva una parola di italiano. Allora il nostro comandante mi ordinò di accompagnarlo, forse perché non bisticciasse troppo col soldato che guidava la jeep. Il soldato da civile faceva il bottegaio, era bello grassoccio, e conservatore accanito. L’ufficiale da civile faceva l’insegnante, era magro, allampanato e laburista, altrettanto accanito. I due perciò non fecero altro che bisticciare di politica fra loro finché non fummo in Cortona. Ma qui dovettero smetterla perché ci trovammo in mezzo a una grande baraonda: da una parte c’era una banda di partigiani col fazzoletto tricolore, da un’altra parte c’era una banda col fazzoletto rosso, che litigavano tra loro, vociferando a più non posso. In mezzo, c’era un gruppo di tedeschi prigionieri, con una gran paura addosso di essere ammazzati da questi o da quelli. Tutti, a un certo punto, vista arrivare la jeep alleata, si indirizzarono verso di noi, immaginandosi che fossimo chissà quale autorità militare. L’ufficiale laburista e il suo autista conservatore strabuzzarono gli occhi, disorientati. Probabilmente, pensavano che quelli armati, con il fazzoletto rosso o il tricolore al collo fossero i famosi banditi italiani, come quelli del film di Fra Diavolo, con Stan Laurel e Oliver Hardy. Io cercavo di darmi un contegno più militare possibile, ma dentro di me domandavo come sarebbe andata a finire. Finalmente, tra i cortonesi che si stavano affollando attorno a noi, salì una voce «arriva il sor Pietro!», e con mio sollievo, in mezzo riconobbi nel sor Pietro lo scrittore Pietro Pancrazi, il quale, con molta calma e con molta fermezza, fece fare silenzio a questi e a quelli, tranquillizzò i tedeschi e ci mise al corrente di come era la situazione in città a nome del CNL. Non sapeva molto bene nemmeno lui se nel CNL rappresentasse il Partito Liberale oppure il Partito d’Azione, ma il sor Pietro era evidentemente un’autorità riconosciuta da tutti, e a me parve proprio un’ancora di salvezza in mezzo a quella tempesta.

Pancrazi ebbe un ruolo di primo piano nel CLN cortonese, di cui faceva parte assieme a Carlo Nibbi (più tardi nominato Sindaco e appartenente al movimento “Democrazia del Lavoro” di Ivanoe Bonomi), Ricciotti Valdarnini (PCI, primo Sindaco di Cortona eletto del Dopoguerra), Rinaldo Bertini (PSI), Remo Ricci (Partito d’Azione) e Bruno Valli (DC); in rappresentanza della Diocesi c’era don Giovanni Materazzi. Se leggiamo il manifesto che il Comitato fece appendere sulle strade di Cortona quella mattina, si riconosce facilmente la mano del grande critico e scrittore:

Cortonesi! Salutiamo con gioia riconoscente i valorosi eserciti alleati che hanno fatto finalmente libera la nostra città e la nostra terra dalla feroce oppressione del tedesco che, gettata la maschera, per giorni e giorni saccheggiando le nostre case e le nostre campagne, infierendo sul nostro popolo, ha rivelato anche agli illusi e agli ignari la sua vera faccia di eterno barbaro. Alle vittime di queste barbarie, ai fucilati, ai feriti, ai derubati, ai vilipesi, a tutti coloro che più hanno sofferto, va il nostro memore saluto.
Invitiamo il popolo cortonese a riprendere il lavoro e a rientrare nella più assoluta legalità. Domani tutti i diritti della libertà anche tra noi verranno ristabiliti, tutti i partiti potranno e dovranno liberamente concorrere alla vita cittadina. Oggi, rimandando ogni competizione, domandiamo a tutti i cittadini di unirsi nella concordia e nel lavoro, perché almeno i danni più gravi possano essere presto riparati. Chiediamo perciò la collaborazione di tutti i concittadini onesti: di tutti coloro cui non si può attribuire la ventennale tirannia dell’esecrato regime che ha condotto la patria a questa rovina. Come il governo ha promesso, tutti i violenti, i profittatori, i responsabili alti e bassi del fascismo saranno puniti. Ma nessuna ritorsione, repressione o vendetta privata può essere consentita. Ricordiamoci che l’infrazione della legge, la violenza, l’arbitrio – anche se commessi da antifascisti – sarebbero fascismo.
Forze di polizia già si stanno ricostituendo con l’aiuto degli Alleati liberatore, dei Patriotti e di volenterosi concittadini: ma è soprattutto nel senso civico del popolo che noi confidiamo. Mentre con augurio ai fratelli oppressi, che ancora soffrono e soffriranno quello che noi soffrimmo: venga presto anche per loro l’ora del riscatto.
Cortonesi! Con questi sentimenti salutiamo gli eserciti liberatori e le bandiere del mondo libero. Dopo venti anni di obbrobriosa tirannia riuniamo in un solo grido due idee fatidiche che già furono dei nostri padri: Italia e libertà!

Cortona 3 Luglio 1944

A pochi giorni da stragi indicibili, mentre tutto intorno infuriavano gli scontri e vent’anni di tirannia facevano sentire il loro peso, si chiedeva la concordia. Ricordare il 3 luglio a 75 anni di distanza significa anche questo: ricordare la straordinaria maturità del nostro popolo, che si mise la guerra alle spalle quando era giunto il momento di ricostruire.

Alessandro Ferri

Quando non si deprime, dimostra doti da intrattenitore e intellettuale della Magna Grecia. Si consola delle abituali sconfitte ascoltando quintali di musica.

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Alessandro Ferri

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