Bertoncelli. Bér-ton-cèl-li. Ah sì, quello dell’Avvelenata. A Camucia?
Sabato 25 ottobre, tra le 18 e le 20, il noto critico musicale Riccardo Bertoncelli ha presentato la sua Storia leggendaria della musica rock al Bar Cristallo di Camucia. L’iniziativa, merito di Stefano Bianchi (Blow Up, non-so-se-avete-capito), fa parte di una serie di incontri intitolati Cocktail Book, libri al Bar, che proseguirà venerdì 14 novembre con Maurizio Blatto (che presenterà My Tunes al Martini Bar) e venerdì 12 dicembre con Michele Rossi (che presenterà la sua storia dei CCCP-CSI all’Angolo Menchetti). Avrete notato che tutti e tre gli eventi sono ospitati in locali pubblici di Camucia, il che è doppiamente significativo.
Anzitutto, perché per una volta si esce dai luoghi polverosi della cultura tradizionale, visto che la cultura è una cosa che appartiene a tutti, e ogni tanto bisogna aprire le finestre dei musei e delle biblioteche. In secondo luogo, scegliere Camucia rappresenta il primo, piccolissimo tassello di una politica culturale che riguardi (finalmente!) la prima frazione del territorio. Per anni ci hanno convinto che Cortona fosse solo cultura e Camucia e Terontola solo dormitori. Non è una cattiva idea tornare a pensare che le frazioni hanno bisogno anche di cultura e che il centro storico ha bisogno anche di abitanti e di servizi. Partiamo col piede giusto, insomma, anche se la strada è lunga.
Riccardo Bertoncelli, piemontese, ha più di sessant’anni e scrive di musica dall’età di diciassette. Nonostante non gradisca la definizione di “decano” dei critici musicali italiani, rivela una competenza e una capacità affabulatoria da grande scrittore, cosa che rende il suo libro gradevole ed istruttivo. La discussione si è sviluppata sulla base di aneddoti e racconti, tra i quali non è potuto mancare quello su Guccini. 1974, Bertoncelli recensisce su Gong, rivista musicale di quegli anni, Stanze di vita quotidiana, ultimo LP dell’emiliano. I toni della recensione sconfinano nel tranchant, e criticano Guccini per il tono disincantato e troppo “privato” dei testi di quell’album (ebbene sì, quello che vi hanno spacciato per il più politico dei cantautori, non scrive solo di locomotive ed eskimi innocenti). Fatto sta che Guccini ci rimane male, e scrive l’Avvelenata, brano più noto del successivo Via Paolo Fabbri 43, in cui si afferma senza remore che ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate. “A scrivere oggi queste cose”, ha notato Bertoncelli, “il critico farebbe causa all’artista, mandandolo sul lastrico. Ma all’epoca era tutto diverso, pensate che trovai il numero di Guccini sull’elenco telefonico”.
Il mondo descritto da Bertoncelli è completamente diverso da quello di oggi. La musica si fruiva diversamente – in alta fedeltà, ha fatto notare un preparatissimo signore del pubblico, mica gli mp3 da cuffiette – e il giornalismo musicale, per quanto riguarda il rock, neanche esisteva. Bertoncelli si ritiene un vero pioniere, ricordando che alla fine degli anni Sessanta erano in pochi a credere che la musica di quei “capelloni” avrebbe avuto un futuro. Grande errore: non si capì che i Beatles, i Rolling Stones e gli altri che li seguivano, avrebbero cambiato completamente la società, al punto che oggi il rock è patrimonio condiviso, non più espressione della sola comunità giovanile ma della società nel suo complesso. Nel corso dei decenni, com’è ovvio, al rock si sono affiancati altri generi musicali, come la dance, che gli hanno lentamente tolto il posto dalle classifiche e dalle rotazioni radiofoniche. Ma non è certo venuto meno il suo ruolo rivoluzionario e liberatorio. Per dirla con Lou Reed, “se non avessi ascoltato rock and roll alla radio, non avrei mai saputo che c’era vita su questo pianeta”.