Giovedì scorso si è conclusa col meritato successo di audience la settima edizione di X Factor Italia. Cinque milioni di telespettatori (roba che neanche Renzi alle Primarie) hanno decretato vincitore il nostro semi-conterraneo Michele Bravi, diciottenne castellano dal timbro flautato, che ha celebrato il proprio risultato sulle inflazionatissime note di Hoppípolla dei Sigur Rós. Ma il buon Michele non è stato l’unico vincitore del programma, che ha visto anche l’affermazione di uno dei quattro giudici: Mika.
Mika aveva partecipato per caso ad una delle puntate dell’edizione 2012, innamorandosi della voce di Chiara Galiazzo, al punto da ripresentarsi alla finale di quella stagione per duettare con la cantante padovana. Alla richiesta di SKY Italia di partecipare all’edizione successiva in qualità di giudice, il cantante mezzo americano e mezzo libanese, nato a Beirut ma cresciuto a Parigi, ha risposto affermativamente.
Non crediamo che Mika abbia fatto questa scelta per devozione o spassionato amore nei confronti del Belpaese, o almeno solo per questi motivi. La sua è stata un’abile (e giusta) mossa commerciale: in un periodo di stanca della propria carriera, ha visto nella partecipazione ad un programma televisivo italiano la possibilità di aprirsi un mercato nuovo, accrescendo la propria fama in un paese che non l’ha mai significativamente premiato in termini di vendite (dei suoi tre album, solo il primo Life in cartoon motion ha raggiunto la nona posizione della classifica FIMI). Ti impari un po’ di italiano, o almeno di italiese – facile per uno come lui, che il plurilinguismo ce l’ha nel sangue – e metti in piazza la tua personalità raffinata e trasgressiva, elegante e colorata. Il risultato già si è visto: un album pubblicato solo in Italia – Songbook Vol. 1 – e già arrivato al 3^ posto della classifica.
A X Factor gli hanno chiesto di seguire le ragazze, compito in partenza facile – erano veramente le più brave, al momento delle selezioni – ma che si è rivelato arduo, man mano che quei volponi di Morgan e della Ventura gli hanno piazzato contro dei competitors notevoli (il già citato Michele, ma anche Andrea d’Alessio, Ape Escape e Street Clerks). La sua squadra ha finito pertanto per piazzarsi solo terza, nonostante una partenza fulminante.
Eppure si può dire che Mika ha vinto, con la sua eleganza, il suo gusto, la sua sincerità e i suoi cravattini. Da anni i giudizi post esibizione erano espressione della più truce real-politik (se dovevi far fuori il cantante di un altro giudice, ne parlavi male, se volevi salvare il tuo, ne parlavi bene): ebbene, con lui si sono sentite per la prima volta critiche sensate, magari sintatticamente improbabili, ma oneste. Si è presentato in punta dei piedi, educato come era giusto che fosse, senza strafare, senza scenate – cose che nel Barnum televisivo odierno fanno una certa impressione. Ha imparato con umiltà la grande tradizione della musica italiana, e l’ho persino sentito invocare (mi chiedo se ho sentito bene) Paolo Conte al termine dell’intervista di Fazio a Che tempo che fa.
Una bella persona, oltre che un artista interessante, insomma. Uno che si mette sotto a studiare e affronta questa prova col sorriso sulle labbra non può che entrare nel nostro Pantheon, assieme al padrino di Valdichianaoggi Gianni Morandi. 10 e lode, caro Mika.
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