Scartare di lato e cadere

Dall’espulsione al trionfo. L’incredibile storia del rapporto tra Gino Severini e Cortona

Nemo propheta in patria, dicevano i latini: “nessuno trova la fama nella propria città”. La storia di Gino Severini, nato a Cortona il 7 aprile 1883 e morto a Parigi il 26 febbraio 1966, fa ripensare a questo motto. A quindici anni, infatti, il futuro pittore fu espulso da tutte le scuole del Regno, e si vide costretto a lasciare la città natale per cercare fortuna. Decenni dopo, sarebbe rientrato dalla porta principale: nel 1935, grazie alla vittoria di un premio alla Quadriennale d’Arte di Roma, fu accolto una cerimonia ufficiale in Comune, e nel 1944 fu incaricato di realizzare la Via Crucis che conduce dalla Porta Berarda al Santuario di Santa Margherita nientemeno che dal vescovo Giuseppe Franciolini (1891-1989). Di questa vicenda quasi romanzesca si è parlato venerdì 28 dicembre scorso nel Salone Mediceo del MAEC, alla presenza del prof. Pierangelo Mazzeschi, autore del volume Gino Severini. La Via Crucis di Cortona, appena pubblicato dalla Società Editrice Fiorentina.

«Una bella coglioneria»: come Severini lasciò Cortona e divenne pittore

Trafiletto da L’Etruria del 7 agosto 1898

Partiamo dall’inizio della storia. Severini era figlio di un impiegato comunale, Antonio, e di una sarta, Settimia Antonini. Allievo della “Regia Scuola Tecnica”, alla fine degli studi, anziché prendere la licenza, fu radiato dal sistema scolastico italiano: con dei compagni era entrato di nascosto nella Direzione della scuola e aveva sottratto i temi destinati agli esami. «Io desideravo i temi di matematica, ma non potei avere che quelli di francese», dichiarò decenni dopo. La faccenda era troppo seria per essere passata sotto silenzio, e Severini e compagni dovettero affrontare un processo che trovò eco perfino nella stampa.

Mentre la madre di Gino accolse la notizia con collera, il padre commentò laconicamente: «hai fatta una bella coglioneria». Che fare, a quel punto? Non pensiate che il destino da pittore fosse già evidente al giovane Severini. «Durante i miei studi a Cortona, non ho mai dimostrato una predilezione speciale pel disegno; disegnavo, è vero, abbastanza volentieri e correttamente, forse un pochino meglio dei miei camerati, ma non ero una rivelazione. […] La cosa che mi piaceva soprattutto era di recitar commedie».

L’onta era tale che bisognava lasciare Cortona. Per la società dell’epoca, un’espulsione così plateale era una macchia indelebile sul prestigio di una famiglia. Antonio Severini ottenne un trasferimento a Radicofani (Siena), dove Gino fece l’incontro che gli cambiò la vita.

Un giovane Severini in posa da dandy. La foto è contenuta nel ricchissimo volume “Severini e Cortona” di Aldo e Iolanda Quinti, pubblicato nel 1976 da Officina Edizioni, disponibile nella Biblioteca di Cortona.

Venne in questo paese, per passarvi l’estate, una giovane signora appartenente alla più ricca famiglia del luogo. […] Fu questa giovane e gentile signora che mi rivelò in che cosa consistesse la pittura; e accese in me la speranza di poter dipingere. Quando seppi che era una pittrice, fui così incuriosito, da non aver più pace finché non trovai il modo di avvicinarla. Andai finalmente a trovarla e rimasi assolutamente meravigliato. […] Questa signora mi fece copiare diversi suoi studi e dei gessi (come il S. Giovannino di Donatello), e così cominciò la mia educazione pittorica, animata da un’idea, ancora imprecisa, di essere un giorno pittore. Disgraziatamente il tempo della villeggiatura finì e la mia maestra dové tornare a Firenze dove abitava. Di là mi incoraggiava a continuare, mi mandava dei modelli, mi consigliava di andare in una grande città… Ma come potevo realizzare tali progetti? Questa signora non poteva immaginare in quali condizioni di povertà fosse la mia famiglia.

Ci sono due fate turchine, in questa fiaba: una è Matilde Luchini (1874-1948), figlia del senatore Odoardo, che inizia Gino alla pittura; la seconda è la madre Settimia. Sarà quest’ultima a scommettere tutto sul futuro del figlio, spostandosi a Roma e convincendo un’agenzia di locazione romana ad assumerlo nonostante la mancanza di un titolo di studio (1899).

A Roma, cambiò tutto. Severini incontrò Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Mario Sironi, il poeta Sergio Corazzini, ed entrò nel milieu delle avanguardie. Nell’ottobre del 1906, si spostò a Parigi, dove incontrò Amedeo Modigliani, Filippo Tommaso Marinetti, Georges Braque, Pablo Picasso, Guillaume Apollinaire e molti altri. L’11 febbraio 1910 pubblicò, assieme a Boccioni, Balla, Luigi Russolo e Carlo Carrà, il Manifesto della pittura futurista. Gino era ormai un artista affermato.

«Credere alla Madonna come vi crede un bambino»: come Severini tornò ad essere cristiano

Facciamo un salto di alcuni anni. Dopo le esperienze futuriste e cubiste, l’arte di Severini risentì nella seconda metà degli anni Dieci del cosiddetto “Ritorno all’ordine” (rappel-à-l’ordre), cioè a forme ispirate alla tradizione e non più alle geometrie di un tempo. Tale evoluzione si accompagnò ad una crisi spirituale, dovuta anche alla morte prematura del figlio Tonio (1916), che lo portò a riavvicinarsi al cattolicesimo. Nel 1923 conobbe il filosofo cristiano Jacques Maritain (1882-1973), che avrebbe rappresentato la sua guida spirituale nei decenni a venire; avrebbe dato il suo nome al figlio Jacques, morto poco dopo il parto nel 1925. Nel 1924, l’artista si spostò in Svizzera per realizzare affreschi, vetrate e mosaici di arte sacra. Ad invitarlo era stato il pittore Alexandre Cingria (1879-1945), capo della Società di San Luca, un gruppo di artisti che intendeva rinnovare l’iconografia religiosa nelle chiese della Svizzera francofona. In un articolo del 1927, Severini scrisse:

C’è differenza fondamentale fra l’arte in generale e l’arte destinata alla Chiesa? Io penso di no. Queste non sono due attività differenti, ma una sola e stessa attività; le due forme appartengono alla stessa virtù. Non c’è dunque che una differenza di intensità, di qualità, ma sulla stessa linea. E c’è ancora una differenza relativa alla destinazione dell’opera in quanto oggetto, l’arte in generale avendo un’indipendenza che l’arte religiosa non può avere. […] A colui che intraprende un’opera destinata a suscitare la preghiera, a esaltare i santi, a onorare il Signore, non ci si può contentare di domandare soltanto di essere artista, ma anche di possedere delle qualità umane e naturali di prim’ordine. Bisogna ancora ch’esso sia credente, e che tutta la sua vita interna sia appoggiata alla Chiesa materna, della quale deve comprendere il significato in confronto a Dio, all’individuo e alla società. Si può fabbricare un capolavoro dipingendo una Maternità, e questo capolavoro, pel fatto della sua autenticità, salirà spontaneamente verso Dio; ma potrebbe darsi il caso che questa maternità non fosse mai una Madonna: fra la maternità e la Madonna sembra che vi sia un capello, ma in realtà v’è un abisso, e l’artista non potrà mai superarlo se non crede alla Madonna come vi crede un bambino.

Nel parlare di quadri raffiguranti una Maternità, Severini citava senza dubbio il proprio dipinto del 1916, oggi conservato nel nostro Museo. Ad essere rappresentate in quell’opera erano la moglie Jeanne (1897-1992), figlia del poeta Paul Fort, e la figlia Gina (1915-2004), futura moglie dello scultore Nino Franchina.

La Svizzera, dicevamo. In una decina d’anni, l’artista cortonese lavorò alla chiesa di Semsales (1924-1926), a quella di La Roche (1927-1928), a Saint Pierre a Friburgo (1932-1935) e a Notre Dame du Valentin a Losanna (1934). Nel marzo del 1935, la rivista L’illustrazione vaticana pubblicò un reportage dal titolo Opere di Gino Severini nella decorazione di Chiese Svizzere. Monsignor Franciolini, vescovo di Cortona da appena tre anni, lesse con piacere il servizio e si appuntò il nome: magari gli sarebbe tornato utile, in futuro.

Le «Solenni onoranze»: come Severini rientrò trionfalmente a Cortona

L’Etruria del 23 maggio 1935

Non solo la celebrazione sulla stampa, ma anche in una grande mostra italiana: il 1935 fu un anno d’oro per Severini. Alla seconda Quadriennale nazionale d’arte di Roma, svoltasi tra febbraio e luglio, l’artista vinse il primo premio per la pittura, del valore di 100.000 lire (oltre 110.000 € attuali). Il 12 maggio rientrò a Cortona con tutti gli onori, accolto nella “ex Sala del Consiglio Comunale” (con il Fascismo il Consiglio era stato sciolto). L’Etruria, nel citare le «Solenni onoranze di Autorità e di popolo al pittore Gino Severini nel suo ritorno in patria», arrivò persino a manipolare la biografia dell’artista, scrivendo che il cortonese «alla scuola fu più inclinato al disegno che alle lettere e per questo, sentendosi ardere l’amore pur le arti, chiese ed ottenne protezione da S. E. Mons. Lorenzo dei Conti Passerini, patrizio cortonese, che lo inviò a Roma ad usa scuola di Arti e Mestieri giungendovi a 16 anni». Come a dire che era andato a Roma su gentile concessione di un prelato, invece che per i duri sacrifici della madre e dopo una pubblica umiliazione. È vero che Passerini lo aiutò tra il 1902 e il 1906, ma la scelta della pittura e il trasferimento a Roma furono precedenti. La memoria corta è un vizio tipico delle nostre parti. Più che all’imbarazzato Gino, la cerimonia permise alla madre di chiudere finalmente una parentesi di vergogna e dispiacere che durava da 37 anni.

«La più bella occasione»: come Severini ottenne la commissione della Via Crucis del Poggio

Nel 1944, Cortona si trovava a ridosso della cosiddetta Linea Albert e doveva fronteggiare due diversi pericoli: da un lato, i bombardamenti degli Alleati che volevano accelerare la ritirata tedesca, dall’altro, le ritorsioni della Wehrmacht, che in fase di smobilitazione non esitava a distruggere, rubare, uccidere e violentare. Il 22 febbraio di quello stesso anno, nel momento più buio del conflitto, Monsignor Franciolini si rivolse alla santa patrona della città, dichiarando: «se Santa Margherita nella presente terribile guerra preserverà Cortona da distruggitrici incursioni aeree, e non permetterà che il territorio cortonese divenga teatro di guerra ivi combattuta, costruiremo in suo onore una bella monumentale Via Crucis, che partendo da Porta Berarda, attraverso la quale la Santa entrò in Cortona, salga sino alla Basilica». Al momento della Liberazione (3 luglio 1944), Cortona pianse i propri morti (stragi di Santa Caterina, Falzano, Valecchie) e le distruzioni lungo la linea ferroviaria, ma poté dire scampato il pericolo dei bombardamenti, che avevano colpito invece Castiglion Fiorentino. Per i credenti, un miracolo della Santa. Si rendeva necessario adempiere il voto.

Franciolini creò un gruppo ristretto per esprimersi sul progetto. Furono escluse le ipotesi iniziali di 14 statue in marmo o bronzo (troppo costose e poco adatte al luogo dove sarebbero state collocate), in ceramica (troppo fragili) o di un ciclo di affreschi (di facile deperibilità). Il mosaico sembrava una scelta ideale. A chi affidare il lavoro? Il regista e drammaturgo Corrado Pavolini (1898-1980) e la moglie Marcella Hannau (1900-1986) gli suggerirono il nome di Severini, da loro aiutato a Roma nei mesi dell’occupazione. Fu allora che Franciolini ricordò l’articolo di dieci anni prima e decise di tentare l’approccio con l’artista cortonese. Ai primi di settembre, giunse al Palazzo Vescovile una lettera:

Ho ricevuta la Sua lettera e l’ho letta con vera emozione. Ho vissuto in questi tristissimi tempi in un grande isolamento, esprimendo a mio modo la mia protesta contro l’assurda guerra di cui subiamo le conseguenze. Avevo quindi praticamente deposta ogni speranza ed anche il desiderio di rilavorare in mosaico, ed ecco che la Sua lettera mi dà la più bella occasione di fare qualche cosa d’importante nella mia stessa città di Cortona.

Severini, che si trovava in un periodo di difficoltà per le scarse commissioni, chiese un compenso di 300.000 lire. Praticamente non guadagnava niente dal lavoro, visto che il costo di ogni stazione (in totale erano 15) superava le 20.000 lire, come l’artista stesso spiegò in una lettera al vescovo del 15 aprile 1946:

Ecco ripartite le spese di una stazione in mosaico:
16 chili di smalti a 350 L. in media al chilo – L. 5.600
Spese diverse (intelaiatura, stucco, spolvero, legno, chiodi, ecc.) – L. 1.200
Operaio a 100 lire l’ora, per 6 ore L. 600 al giorno, per circa 25 giorni che occorrono per una stazione – L. 15.000
Spillatura e ripulimento dietro il mosaico – L. 550
Totale – L. 22.350

La sua prima idea era di introdurre in ciascun mosaico un riferimento a Santa Margherita, ma poi preferì aggiungere alle 14 stazioni un pannello introduttivo, in cui raffigurare la Santa ai piedi della croce con lo scenario cortonese in secondo piano, in modo simile a quanto fatto da Osvaldo Bignami nella Cappella dei Caduti del Santuario. I cartoni di ciascuna stazione, della stessa dimensione dei mosaici (100×75), sono ancora oggi conservati al Museo Diocesano.

Le edicole progettate da Morozzi

Severini non gradì le edicole che accolgono i mosaici, realizzate su progetto di Guido Morozzi della Soprintendenza di Firenze. In una lettera del 15 gennaio 1945, scrisse a Franciolini:

Ho ricevuto il plico col progetto per le edicole da Lei fatto fare dall’architetto della R. Soprintendenza di Firenze. […] Sono dispiacente, Monsignore, ch’Ella abbia domandato un progetto al Soprintendente, perché ciò Le avrà occasionato una inutile spesa, quel progetto non essendoci di alcuna utilità. Esso è, è vero, analogo al mio, ma porta i segni di quel cattivo gusto fiorentino che ha popolato i dintorni di Firenze e la Toscana di tante ville con merli e torrette per simulare il Medio-Evo. Pensai anch’io un momento al tetto spiovente nei lati, (ad angolo, però, più aperto come nelle Chiese Francescane), ma vi rinunziai perché la ripetizione di quelle sagome avrebbe troppo suggerito l’idea di cimitero.

Morozzi, per la cronaca, sarebbe divenuto Sovrintendente capo ai Monumenti di Firenze e, in questa veste, avrebbe dovuto gestire i danni dell’alluvione del 4 novembre 1966. Oggi è ricordato con una targa nel Duomo di Firenze.

L’inaugurazione del progetto decorativo avvenne il 15 giugno 1946, in occasione della festa di Santa Margherita. Una lapide, apposta all’inizio del percorso, riporta le seguenti parole:

La lapide con l’iscrizione dettata da Franciolini

CORTONA
RICONOSCENDO DA S. MARGHERITA
LA PROPRIA INCOLUMITÀ
DALLE DISTRUZIONI DI GUERRA
ERIGEVA GRATISSIMA
LA VIA CRUCIS VOTIVA
IN ONORE DELLA SUA SANTA
E CELEBRAVA CON FERVIDO CUORE
IL VII CENTENARIO DELLA NASCITA
E IL XIII CINQUANTENARIO
DELLA SUA MORTE PREZIOSA

O PELLEGRINO
RIPETI PIAMENTE LA VIA DELLA CROCE
CHE MUOVENDO DA QUESTO LUOGO
IO TANTE VOLTE PERCORSI
PIANGENDO I MIEI PECCATI
E ACCENDENDOMI DI AMORE
PER GESÙ CROCIFISSO

Le stazioni I, VII e XII della Via Crucis. Nel volume di Mazzeschi sono contenute le foto di tutte le stazioni e dei cartoni preparatori. Ringrazio il Fotoclub Etruria per avermi gentilmente concesso queste immagini

***

Torniamo alla conferenza con cui abbiamo iniziato quest’articolo. Si presentava il libro Gino Severini. La Via Crucis di Cortona del prof. Pierangelo Mazzeschi. Mazzeschi, aretino, insegna Disegno e Storia dell’Arte al Liceo Scientifico “Redi” e collabora con l’Università di Siena. Prima di questo volume, ha pubblicato lavori simili sulle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca in S. Francesco ad Arezzo e sul Ciclo dei mesi della Pieve di Arezzo. Il suo non è l’unico volume su Severini pubblicato in questo periodo: il 13 dicembre scorso lo studioso Piero Pacini ha presentato a Firenze Il Paniere di gloria – Lo ‘zibaldone futurista’ di Gino Severini, libro edito con il sostegno della Fondazione CR Firenze. A più di cinquant’anni dalla morte del pittore cortonese, evidentemente non viene meno l’interesse per le sue opere.

Mazzeschi ha dichiarato di aver conosciuto Cortona e la Via Crucis in occasione del suo matrimonio, celebrato nel 1990 a San Niccolò. Fu durante il set fotografico, che si svolse proprio lungo la salita di via Santa Margherita, che si innamorò dei mosaici severiniani.

Il libro è corredato delle bellissime foto del Fotoclub Etruria (alcune appaiono, per gentile concessione, in questo articolo), che ha anche provveduto a ripulire le lastre di vetro a protezione dei mosaici e a verificare lo stato di conservazione dei manufatti dopo il restauro curato nel 1991 dal Lions Club e dalla Banca Popolare di Cortona.

La prefazione è a cura di Romana Severini Brunori, la secondogenita del pittore, nata nel 1936. Non potendo essere presente alla presentazione, ha inviato un messaggio letto dal dott. Vincenzo Lucente:

Gentili professori Bruschetti e Mazzeschi e cari amici cortonesi,

avrei voluto proprio essere presente al vostro incontro di presentazione del libro che illustra le opere di mio padre nella sua città. Purtroppo, molte ragioni – soprattutto di salute, che spero passeggere – me lo impediscono. Ad una certa età, poi, le distanze tra un luogo e l’altro sembrano raddoppiarsi, ma pazienza. Sono lo stesso vicina a voi con i miei auguri di Buon Anno 2019, sicura che questa nuova testimonianza, legata a Cortona e alla vita artistica di mio padre, servirà da ulteriore stimolo per visite e passeggiate nell’antico, nel più contemporaneo, nel cuore cittadino. Un abbraccio di augurio anche da parte di tutta la mia famiglia e un grazie sentito per il vostro fedele affetto.

Il prof. Sergio Angori dell’Accademia Etrusca e il prof. Pierangelo Mazzeschi, autore del volume

Mazzeschi, lavorando con i giovani, è consapevole che la storia dell’arte deve diventare un’occasione di crescita e cambiamento: «le grandi opere e i grandi artisti non devono diventare cenere da adorare, ma fuoco da imitare». Ha scritto il libro per far conoscere un’opera fondamentale non solo per i cortonesi, ma anche per chi voglia capire la carriera di Severini: per rendere più efficace la spiegazione, ha fatto anche due approfondimenti sulla Maternità del 1916, il Volto di Cristo del 1948 e il San Marco del 1961 (i primi due sono conservati al MAEC, l’ultimo – come noto – è sulla facciata della Chiesa inferiore di San Marco, visibile fin da Piazza Garibaldi). L’introduzione del volume fornisce parole efficaci per spiegare cosa ho trovato di ammirevole nella vita di questo grande concittadino:

Severini, con la sua vita e la sua opera cortonese, è in grado di mostrare all’uomo contemporaneo che è possibile vivere tutto con un significato, se egli si dispone ad aprire le mani, abbandonandosi […] a una realtà imprevista e imprevedibile. […] Fu espulso a 15 anni dalla Scuola Tecnica, al momento di prendere la licenza. Ha sofferto la fame e il freddo nella Parigi degli inizi del Novecento, la malattia, non è stato immediato il suo debutto nel mondo dell’arte e del corrispettivo mercato, non ha avuto sempre facili e meritate ricompense economiche, ha visto morire due figli… eppure dentro tutte queste vicende non ha perduto la speranza, ossia quella che Maritain definisce la “foi des enfant”, e che la tradizione cristiana chiama “povertà dello spirito”.

Le vicende descritte in questo articolo non sono nuove, e molti lettori probabilmente le conosceranno già. Mi auguro di aver presentato una figura tanto importante ai lettori più giovani. Colgo l’occasione per fare i miei auguri di buon 2019 a tutti i lettori di ValdichianaOggi. Prometto che continuerò a raccontare la Storia e le storie di Cortona anche nell’anno a venire.

Alessandro Ferri

Quando non si deprime, dimostra doti da intrattenitore e intellettuale della Magna Grecia. Si consola delle abituali sconfitte ascoltando quintali di musica.

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Alessandro Ferri

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