Oggi si celebra il centenario della vittoria italiana nella Prima Guerra Mondiale: il 3 novembre 1918, infatti, il Regno d’Italia e l’Impero Austro-Ungarico firmarono l’Armistizio di Villa Giusti, con cui si sanciva la fine delle ostilità a partire dalle ore 15.00 dell’indomani, a 1.260 giorni dall’inizio del sanguinoso conflitto. Questa mattina, in vari luoghi del nostro Comune (Monumento ai Caduti di Mercatale, Cappella dei Caduti nella Basilica di Santa Margherita, Monumento ai Caduti del Parterre, Lapidi commemorative di Camucia, Terontola, Pietraia e Farneta) saranno depositate corone d’alloro e saranno pronunciati discorsi commemorativi per ricordare l’anniversario e celebrare gli oltre 600 morti cortonesi durante la guerra.
Nella mattinata di ieri si è tenuta, presso la Sala Medicea di Palazzo Casali, una intensa cerimonia celebrativa in cui è stato celebrato l’anniversario alla presenza delle autorità, di una rappresentanza degli studenti delle scuole del territorio e della cittadinanza. L’occasione era importante non solo per la solennità dell’evento, ma anche perché è stato pubblicamente presentato il francobollo commemorativo del 4 novembre, raffigurante una porzione degli affreschi di Osvaldo Bignami nella Cappella votiva di Santa Margherita.
L’iniziativa pubblica era stata organizzata, con la collaborazione dell’Amministrazione Comunale di Cortona, dal Lions Club Valdichiana Host e dalla sezione cortonese dell’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia, rappresentati rispettivamente dal sindaco Basanieri, dal dott. Francesco Lucani e dal ten. dott. Ernesto Gnerucci.
Nel discorso introduttivo del sindaco, la mattinata è stata definita “storica”, in quanto all’indispensabile ricordo degli eventi si associava l’emissione filatelica. Quest’ultima rappresenta un evento fortemente significativo: è la prima volta che la città di Cortona e la nostra Santa compaiono in un francobollo nazionale, e tutto ciò è stato reso possibile dall’impegno di persone come l’ing. Gian Carlo Ristori, padre Livio Crisci, il prof. Ivo Camerini, l’avv. Roberto Saccarello e il prof. Angelo Di Stasi del Ministero per lo Sviluppo Economico. Francesca Basanieri ha annunciato inoltre che, oltre alla Cappella votiva (in via di restauro grazie all’Associazione per il Recupero degli Organi Storici della Città di Cortona), anche il Monumento ai Caduti sarà restaurato grazie all’iniziativa del Lions Club, che ha vinto un bando regionale.
Dopo i saluti di Gnerucci e Lucani, ha preso la parola lo storico Mario Parigi, che ha tenuto una ricca prolusione sulla Prima Guerra Mondiale e le sue conseguenze a Cortona, per concludere con la descrizione del percorso che ha portato all’edificazione del Monumento ai Caduti, nel 1925.
Il discorso ha preso avvio con la riproduzione della Leggenda del Piave, uno dei più noti inni patriottici, composto da E. A. Mario nel 1918. Nonostante fosse stata pubblicata solo il 20 settembre di quell’anno (a meno di due mesi dalla fine del conflitto), fu così apprezzata tra i soldati che il generale Diaz avrebbe telegrafato all’autore queste parole: «Mario, la vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale!». Il brano fu anche l’inno ufficiale del Regno d’Italia, in sostituzione della Marcia Reale, nel periodo tra l’8 settembre 1943 e il 12 ottobre 1946. Fu Alcide De Gasperi a preferirle il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro, secondo i maligni perché E. A. Mario si era rifiutato di comporre l’inno della Democrazia Cristiana.
Molti dei soldati al fronte erano giovanissimi, ha ricordato Parigi: tra di loro non c’era solo la nota generazione del 1899, ma anche quella del 1900. Praticamente la stessa età, o giù di lì, dei giovani studenti presenti nella sala, che sono stati invitati ad identificarsi con i loro coetanei di cent’anni prima.
Il discorso è proseguito elencando le date significative della storia dell’Italia unita: 17 marzo 1861 (proclamazione del Regno), 20 settembre 1870 (breccia di Porta Pia e presa di Roma), 4 novembre 1918 (vittoria nella Prima Guerra Mondiale), 25 aprile 1945 (liberazione dal nazifascismo), 2 giugno 1946 (referendum istitutivo della Repubblica). Molte di queste ricorrenze hanno cessato di essere celebrate – una su tutte, il 2 giugno, che tra il 1977 e il 2001 era una “festa mobile”, cioè si festeggiava la prima domenica utile – a dimostrazione dell’allergia degli italiani per le iniziative patriottiche. Eppure, ha osservato Parigi, «Patria non è un termine di cui vergognarsi, nonostante gli eccessi retorici del ventennio fascista. Purtroppo, in uno stato giovane come il nostro, il sentimento di identità nazionale è largamente carente, ad eccezione dei momenti in cui ci sono le competizioni sportive internazionali. Forse il 4 novembre è l’unica data che mette d’accordo tutti».
Il motivo è presto detto: 65.000.000 di morti (se si contano anche le vittime dell’influenza spagnola) in tutta Europa e 1.240.000 di morti italiani (tra soldati e civili). Prima della Seconda Guerra Mondiale, mai una sciagura di queste proporzioni si era abbattuta sul nostro continente.
La guerra scoppiò nel 1914, dopo l’assassinio dell’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando (28 giugno), ma l’Italia attese il 24 maggio dell’anno successivo per il proprio ingresso. Pur facendo inizialmente parte della Triplice Alleanza assieme a Germania e Austria-Ungheria, il governo italiano optò per un accordo segreto – il Patto di Londra – con Francia, Russia e Inghilterra (Triplice Intesa), volendo fare del conflitto una “Quarta Guerra di Indipendenza”: una parte d’Italia, le cosiddette terre irredente di Trento e Trieste, erano infatti ancora sotto il dominio straniero.
L’esercito italiano, reduce dalle imprese coloniali in Libia, era drammaticamente disorganizzato e privo di mezzi. Quella che aspettava i soldati italiani era una guerra lunga e di posizione su un fronte durissimo, fatto di roccia e neve. Il problema è che nessuno l’aveva capito, neppure il capo di Stato maggiore Cadorna.
La conferenza è proseguita mostrando immagini dei diversi corpi dell’esercito italiano nel 15-18: bersaglieri ciclisti (sì, proprio in bicicletta), divisioni motorizzate, marina e aeronautica (a Foiano c’era un campo di volo per gli addestramenti). Gli anni di guerra videro uno sforzo tecnologico intenso vòlto alla distruzione: furono costruite bombe devastanti e sperimentati gas letali. Lo stesso nonno di Mario Parigi avrebbe portato con sé per decenni i danni ai polmoni derivanti dall’impiego dei gas nelle trincee.
La vita al riparo dei reticolati era durissima: freddo, cattiva alimentazione, malattie causate dalla scarsa igiene e dai topi che imperversavano. Spesso non c’era tempo di seppellire i cadaveri, che si decomponevano accanto ai soldati, e gli stessi bisogni fisiologici erano fatti sul posto. Ogni gesto di insubordinazione o di mancato rispetto dell’autorità veniva punito con la condanna a morte dei responsabili o addirittura con la pratica della decimazione (uccidere un soldato ogni dieci, a prescindere dalle sue effettive responsabilità).
Raccontare quello che accadeva era l’unico modo che avevano i soldati per mantenere memoria di una realtà tanto devastante da sembrare irreale: per questo furono numerosi i diari di guerra, spesso scritti in un italiano sgrammaticato e approssimativo. Le lettere inviate a casa erano pesantemente censurate, ma erano anche l’unico strumento per poter mantenere un contatto con i familiari. Parigi ha raccontato che in Piazza Vittorio Emanuele II a Cortona (attuale Piazza della Repubblica), una signora si era inventata il lavoro di lettrice e scrivana: leggeva ai parenti analfabeti le lettere del familiare al fronte e scriveva delle risposte.
Oltre alle cronache scritte, la Prima Guerra Mondiale fu anche uno dei primi conflitti ad essere oggetto di fotografie e riprese cinematografiche, come dimostra il documentario di Roberto Omegna Gloria (1934), basato su fonti d’archivio originali e proposto in più momenti durante la conferenza. Si noti che nel film, realizzato durante il Fascismo, mancano i momenti più “disonorevoli” per il nostro esercito, come la disfatta di Caporetto.
La guerra ebbe conseguenze enormi sulla società italiana: milioni di reduci, feriti e mutilati, ma anche moltissime vittime di shock psicologico (i cosiddetti “scemi di guerra”). A testimonianza dell’enorme sforzo anche sul piano medico, Parigi ha mostrato la divisa del dottor Dino Aimi, nonno del dottor Mario Aimi, capitano medico nel 15-18.
Nel novero dei caduti cortonesi si collocarono anche i 23 cittadini, in prevalenza pugliesi, vittime della strage della stazione di Camucia (26 febbraio 1916).
Il 4 novembre 1918, la vittoria, così descritta nel proclama di Armando Diaz (capo di Stato maggiore, succeduto a Cadorna dopo i fatti di Caporetto):
Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12 Bollettino di guerra n. 1268
La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. […] L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.
La gioia per la vittoria coinvolgeva anche i cortonesi: Parigi ha letto cosa gli ha raccontato Olivo Fanicchi poco prima di morire all’età di novantasette anni, nel 2003.
Mi ricordo come se fosse ora quando finì la guerra. Una bella giornata, calda anche se di novembre, ed ero con il mio babbo nei campi. All’improvviso prima una, poi un’altra e alla fine tutte le campane della Val di Chiana suonarono insieme a distesa. Ero piccolo ma capii che qualcosa d’importante stava accadendo e il babbo mi disse che la guerra era finalmente finita. Poi, come se fosse stato dato un preciso comando, furono accesi falò altissimi ovunque e insieme al suono delle campane fu uno spettacolo indimenticabile (L’Etruria del 30 novembre 2005 e del 31 ottobre 2012).
Cortona era, cent’anni fa, una città viva e popolosa, come abbiamo raccontato anche nell’articolo sulla Cappella votiva di Santa Margherita: oltre 30.000 abitanti (più di tremila solo nel centro storico) e svariate istituzioni e associazioni. La stampa locale contava ben tredici periodici (1922): L’Azione Democratica, Cortona Nuova, Cortona Fascista, La Difesa Liberale, L’Elmetto, L’Etruria, L’Etruria Liberale, La Fiaccola, Margarita Christi, La Parola Repubblicana, Scudo Crociato, Il Solco e La Squilla Eucaristica.
Alla fine di novembre 1918 si svolse una grande messa in suffragio presieduta dal vescovo di Cortona Michele Baldetti. Parigi ha proseguito mostrando una bella foto del proprio archivio personale, raffigurante tredici reduci cortonesi – tra cui suo nonno – davanti alle scale del Teatro Signorelli, il primo novembre 1921. Il gruppo era di ritorno dalla stazione di Camucia, dove aveva assistito al passaggio del treno con la salma del milite ignoto, proveniente da Aquileia e diretto al Vittoriano di Roma (la foto, assieme ad altre preziose immagini, è contenuta nel già citato articolo di Parigi del 30 novembre 2005).
La nostra città ricordò il conflitto attraverso svariate iniziative, come l’Albo d’oro del canonico Corrado Lazzeri (1920) e la Cappella votiva di Santa Margherita, affrescata dal pittore lodigiano Osvaldo Bignami e solennemente inaugurata il 28 maggio 1922. L’8 luglio 1923 fu inaugurato il Parco e Viale della Rimembranza, vale a dire il percorso che va dagli attuali campi da tennis fino a Santa Margherita, in cui ogni albero era associato al nome di un caduto: visto che il numero era molto ampio, si aggiunsero svariate targhe nei campi sotto la Basilica e nelle attuali via Raimondo Bistacci (strada per la Fortezza) e via Santa Margherita (via Crucis). L’iniziativa era stata promossa dal sottosegretario alla Pubblica Istruzione Dario Lupi, che il 27 dicembre 1922 aveva indirizzato ai provveditori del Regno una circolare in cui chiedeva che le scuole si facessero «iniziatrici dell’attuazione di una idea nobilissima e pietosa: quella di creare in ogni città, in ogni paese, in ogni borgata, la Strada o il Parco della Rimembranza. Per ogni caduto nella grande guerra, dovrà essere piantato un albero». Ad oggi, non è rimasto nulla di quel progetto, ma la Fondazione Settembrini ha collocato una targa commemorativa il 24 maggio 2015.
Ma veniamo al Monumento ai Caduti del Parterre. Il primo Comitato fu costituito nel 1921, ma si sciolse poco dopo. Il secondo, ricostituito in breve tempo, organizzò un concorso che si concluse il 28 ottobre 1922, lo stesso giorno della Marcia su Roma. La commissione giudicatrice era costituita dall’aretino Giuseppe Castellucci (1863-1939), progettista della facciata della Basilica di Santa Margherita (1899) e della prospiciente Cappella votiva (1922), dal pittore Adolfo De Carolis (1874-1928), illustratore dei “grandi aretini” nell’omonima sala del Palazzo della Provincia ad Arezzo (1922-1923), e dallo scultore Ettore Ferrari (1845-1929), autore del monumento a Garibaldi in Carbonaia (1894). Vinse il progetto “Valore italico” del cortonese Delfo Paoletti (1895-1975), oggi poco ricordato ma autore di svariate altre opere, tra cui le decorazioni della Cappella Marri nel cimitero della Misericordia, il Monumento ai Caduti di Castiglion Fiorentino (restaurato di recente) e un monumento simile a Pratovecchio (distrutto dai tedeschi nel ‘44 perché raffigurava un soldato italiano che pestava un elmetto tedesco e un elmetto austriaco).
Il monumento bronzeo mostra un angelo che sostiene un soldato morente, il cui volto ricorda chiaramente i tratti del Paoletti. Eretto su un basamento in marmo di Baveno, fu inaugurato l’11 ottobre 1925, all’interno di una tre giorni che intendeva commemorare anche il quarto centenario della morte di Luca Signorelli (che era morto nel 1523, in effetti, ma fu festeggiato in ritardo per problemi organizzativi). L’inaugurazione, alla presenza del vescovo Riccardo Carlesi e del sindaco Corrado Montagnoni, fu grandiosa: ad allietare c’erano ben quattro bande (Cortona, Camucia, Mercatale e Ossaia) e fu coniata un’apposita medaglia commemorativa che Parigi ha mostrato durante la conferenza.
Inno per l’inaugurazione del Monumento
A Voi, glorioso simbolo
de l’italico valore
per cui deve la Patria
la pace e la Vittoria,a Voi, perenne gloria
e poesia di culto,
riconoscenza memore,
in santità di amore!Per Voi, di Roma antica
l’alto genio guerriero,
rivisse ne l’eroiche
gesta d’ogni cimento.Per Voi, di Trieste e Trento
su gli spalti redenti
il Tricolore sventola
bello superbo e fiero.Se dei suoi figli e martiri
poeti e pensatori,
l’Italia poté sciogliere
il voto secolare;ed or da l’Alpi al mare
è nei confini sacri,
è Vostro merto, o Eroi,
del vostro sangue è frutto.Da Voi parte una vivida
luce d’alta bellezza
e l’Ara Vostra, o Puri,
è faro luminoso,esempio generoso
di sacrificio, e voce
incitatrice ad opera
di pace e di grandezza.
Nella stessa occasione fu apposta una lapide a Cesare Battisti dettata dal poeta Uberto Bianchi, oggi purtroppo in cattivo stato di conservazione.
Meno di vent’anni dopo, nel 1941, il Monumento cortonese rischiò persino di essere fuso: le necessità della Seconda Guerra Mondiale, ha raccontato Parigi, avevano imposto la costituzione dell’Ente Distribuzione Rottami (ENDIROT), che provvedeva alla raccolta di tutte le possibili fonti di rame, ferro e bronzo necessarie agli armamenti. Tra i 55.537 kg di metallo individuati a Cortona, c’era pure il monumento del Paoletti, che tuttavia fu difeso con forza da una insolitamente compatta comunità cortonese. Il 30 novembre 1941 una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri gettava la spugna, riconoscendo che «il detto monumento non riveste notevole interesse artistico […], però costituisce per i cittadini di Cortona opera di alto significato spirituale e la popolazione del comune desidera vivamente conservarlo».
Concluso l’intervento di Mario Parigi, l’evento di Palazzo Casali è proseguito con la lettura di una poesia da parte di una studentessa del Liceo Classico di Cortona e con la presentazione dell’iniziativa filatelica.
L’avvocato Roberto Saccarello è intervenuto per ricordare che ha un legame molto stretto con Cortona, dove ha vissuto per dieci anni: è stato lui a contattare Di Stasi, proponendo il soggetto del francobollo. Visto che nell’affresco è raffigurato il centro storico di Cortona, si tratta della sua prima comparsa su un supporto di questo tipo (Santa Margherita era già stata inserita nel 1997 in un francobollo dell’Ordine di Malta, sempre su sollecitazione di Saccarello).
In segno di ringraziamento, il sindaco Basanieri ha donato ai tre il volume di Tito Barbini Rughe e gente di Cortona. Si è proceduto quindi con l’annullo speciale.
I ragazzi delle scuole hanno poi pronunciato, uno per uno, i nomi dei caduti cortonesi. Al termine dell’elenco, Simonluca Fanelli ha eseguito il Silenzio alla tromba.
La cerimonia si è conclusa con la consegna degli attestati celebrativi ad alcune famiglie discendenti di cortonesi decorati al valor militare, tra cui le medaglie di bronzo Mario Anderini e Michele Meattini. Vi propongo le descrizioni dell’Albo d’Oro:
ANDERINI Mario, da Arezzo, tenente complemento I reggimento genio. Comandante di una compagnia del genio, faceva trasportare tutto il materiale necessario alla costruzione di un ponte. Vista l’impossibilità del gittamento del ponte stesso, per il vivo fuoco di artiglieria avversaria, di propria iniziativa faceva costruire delle passerelle, dando bella prova di fermezza e coraggio. Doblar, 18-22 agosto 1917.
MEATTINI Michele, da Cortona (Arezzo), sergente maggiore 70 reggimento fanteria, n. 32928 matricola. Sottufficiale zappatore, si adoperava senza tregua, anche nei momenti più difficili, ad assicurare il regolare e sollecito rifornimento delle munizioni. Alla testa di un drappello, concorreva ad un contrattacco, incorando, con la parola e con l’esempio, i dipendenti, e giungendo fra i primi sulle posizioni riconquistate. Scolo Palumbo (Piave), 18-19 giugno 1918.
Il nipote di Michele, Francesco Meattini, morì durante la Seconda Guerra Mondiale, il 18 luglio 1941, meritandosi una medaglia d’oro al valore militare. Si trovava in Montenegro, al seguito dell’esercito italiano che occupava i Balcani. Cortona era lontana millecinquecento lunghissimi chilometri.
Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente Mario Parigi, per aver compiuto l’ampio e ragionato lavoro storico che mi sono permesso di riportare in queste righe, e Ivo Camerini, non solo per l’impegno a favore dell’annullo filatelico, ma anche per aver donato alla comunità cortonese le digitalizzazioni delle copie dell’Etruria presenti nella nostra Biblioteca comunale, rendendo agevole una ricognizione storica su quegli eventi lontani.
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