Al quesito referendario cui saremo chiamati il prossimo 4 dicembre io voterò NO. Dico subito che questo mio voto non discende da una scelta politica preconcetta, non discende nemmeno da motivi ideologici che ormai credo di aver superato con il passare degli anni. Il mio NO è frutto di una valutazione ponderata, come richiedono in molti “nel merito” della Riforma proposta e della legge elettorale ad essa in qualche modo collegata.
La prima valutazione è sicuramente legata al metodo, al percorso che è stato scelto per la riforma stessa. Si è cercato di caricare questa riforma di significati che non gli appartengono, in qualche misura è stata data l’impressione che anziché ricercare il consenso si facesse di tutto per essere i soli a volerla, quasi a marcare una distanza dagli altri, a voler tracciare una primogenitura della riforma e con essa del cambiamento e della modernizzazione. Se il percorso è stato questo e debbo dire che sono in compagnia di molti nel ritenerlo, io non posso che dichiarare il mio dissenso. I modi, i toni con i quali il Governo e la sua maggioranza sostengono questo provvedimento sono distanti anni luce dalla mia visione e dalla mia cultura politica. Se a questo si aggiunge la delicatezza della tematica trattata non posso che esprimere accanto al dissenso anche una notevole sensazione di preoccupazione per le sorti del Paese e della sua democrazia.
La Costituzione, il sistema elettorale, l’organizzazione statuaria non possono essere terreno di avventura, di scorribande politiche finalizzate alla ricerca massima del consenso elettorale. Se si dovesse affermare un principio di questo genere sarebbe piuttosto difficile pensare che nel futuro non si aprano spazi per tentativi populisti ed avventuristi. Le regole del gioco, in un Paese normale si costruiscono assieme, mettendo in campo competenze, le sensibilità politiche ed istituzionali di un fronte che sia il più ampio possibile. Questo fecero i Costituenti, fra le altre cose in un periodo non certo facile della nostra storia.
E’ su questo aspetto che mi soffermo perché ritengo fortemente che una riforma della Carta Costituzionale non largamente condivisa costituisca un vero e proprio vulnus alla democrazia ed alla rappresentanza. Essa può costituire alibi per involuzioni diverse dal confronto politico ed istituzionale e portare da una parte a tentativi di carattere verticistico e dall’altra a scorciatoie per minare un assetto non condiviso.
Affermo con chiarezza che io non sono un assertore del bicameralismo perfetto, anzi sono stato da sempre convinto che sia necessario superarlo assegnando ad ognuna delle Camere un preciso ambito istituzionale. Questo non si realizza attraverso una riforma pasticciata che prevede un Senato ridotto ad un agglomerato di nominati. Personaggi ben più preparati di chi scrive hanno chiaramente dimostrato come peraltro la riforma del Senato proposta non solo non snellisce ma addirittura complica l’iter legislativo.
Si sostiene da parte di Renzi e di chi sostiene il fonte del Si che la riforma porta a risparmi. Mi permetto di rispondere che si poteva fare di più anche in questa direzione magari prevedendo cento Senatori eletti ed una Camera dei Deputati ridotta ad un numero vicino ai quattrocento anziché gli oltre seicento attuali. Un Senato con compiti di intervento esclusivo su leggi Costituzionali, Elettorali e sull’Elezione del Capo dello Stato oltre a competenze sulle politiche regionali, di redistribuzione delle risorse tra le regioni, in buona sostanza un Senato che somigli a quello che in Germania è il Bundesrat. Quello che la riforma Renzi, Boschi, Verdini prevede è cosa assai diversa.
Lo scenario che ci presenta è quello di un Senato di nominati, assoggettati al volere del potere esecutivo e di una Camera dei Deputati eletta con una legge peggiore di quelle Acerbo del 1923 e della cosiddetta legge truffa del 1953. Se si sommano la riforma costituzionale proposta e la legge elettorale che consegna al partito che ha raggiunto la maggioranza relativa il 54% dei seggi si da vita ad un mix letale che limita se non addirittura annienta la rappresentanza delle minoranze ed assegna al Governo un potere francamente illimitato. La governabilità di un Paese deve essere garantita ma questa è chiaramente ben altra cosa. E’ difficile immaginare l’esito del Referendum, quello che io penso è che gli italiani dovranno dimostrare molta maturità su questo argomento. E’ vero che non vi è problema di quorum ma è altrettanto vero che su questioni così delicate è necessario un coinvolgimento che sia il più ampio possibile dei cittadini.
La campagna referendaria è iniziata con la ricerca di un voto plebiscitario da parte del Capo del Governo il quale in un primo momento ha legato all’esito le sorti del suo governo, della sua maggioranza e quelle sue personali dal punto di vista politico. Come spesso fa ha cambiato opinione dopo poche settimane e dopo pochi sondaggi. Oggi mi sembra di poter riassumere la sua attuale strategia con due parole “Promesse e Paura”. Alle promesse è intimamente legata la legge di Stabilità che promette di tutto e di più, al di la di ogni ragionevole possibilità e compatibilità di bilancio. Si è arrivati a scomodare ancora una volta il ponte sullo Stretto con un coup de theatre degno del miglior Berlusconi (una faccia una razza?). La seconda parola, paura, viene utilizzata facendo ricorso al sostegno dei più oscurantisti rappresentanti dell’economia e della finanza che rappresentano scenari apocalittici, da the day after in caso di affermazione del NO.
Personalmente ritengo abbastanza meschino questo modo di intendere il confronto politico. Preferisco una campagna referendaria che non impaurisca nessuno e che faccia serenamente esprimere i cittadini, legittimo proprietari della cosa pubblica. Per quanto mi riguarda serenamente voterò NO.
Remo Rossi