C’era una volta un fotografo inglese, Giles Duley. Il suo lavoro, diceva, era raccontare ”le storie della sofferenza umana, quelle che gli altri non raccontano”. Aveva conosciuto Emergency in Sudan, aveva parlato con Gino delle vittime civili in Afghanistan, voleva venire al Centro di Kabul. Pochi mesi dopo ha iniziato un progetto sulle tante facce della guerra: avrebbe raccontato la vita dei soldati, poi quella delle vittime civili. Non è riuscito ad arrivare al nostro Centro: mentre era embedded con un’unità dei marines è saltato su un ordigno artigianale. Ha perso entrambe le gambe e il braccio sinistro.
C’era una volta, e c’è ancora, il fotografo Giles Duley, che dopo diciotto mesi di riabilitazione fa le valigie e torna in Afghanistan, per finire il lavoro e raccontare le vittime. “In questi anni qualcuno mi ha chiesto se mi sono pentito di aver fatto quel primo viaggio in Afghanistan, se valeva la pena di perdere le gambe per qualche foto. E’ una domanda stupida, perché ovviamente nessuna foto vale quel prezzo; però il principio sì. Saltare su una bomba, e tutta quella sofferenza, mi ha confermato che andare in quei paesi e raccontare quelle storie era, ed è, la cosa giusta da fare”. C’era una volta, e c’è ancora, la guerra e la sofferenza. C’era una volta, e c’è ancora, Giles Duley che le racconta.
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