E’ un periodo strano. Strano è il tempo che stiamo vivendo e per una volta non mi riferisco ai disastri politici ed economici in cui ci stiamo dibattendo, un po’ sarà colpa di questo inverno che sembra non finire, ma ancora di più ci lascia attoniti la morte ravvicinata di tanti artisti che hanno segnato una lunga stagione musicale in tanti generi e paesi diversi.
Prima i nostri Enzo Jannacci e Franco Califano, più recentemente Ray Manzarek co- fondatore, bassista, tastierista, voce dei Doors, subito dopo è stata la volta di Trevor Bolder bassista prima di David Bowie poi degli Uriah Heep. Infine, ed è cronaca delle ultime ore, la scomparsa di Little Tony primo interprete italiano, fin dai lontani anni ’60, del rockabilly di Elvis Presley e di Jerry Lee Lewis . E’ vero che in passato altri artisti e altri generi sono iniziati e poi, naturalmente, finiti, ma il fatto che, ai nostri giorni, non ci sia più, musicalmente parlando, un distacco generazionale (generation gap) per cui la musica che ascoltavo io (ultracinquantenne) la ascolta ancora oggi mio figlio che ha vent’anni, determina che a piangere questi artisti sia una fascia di popolazione che va dai 15 ai 70 anni. Per cui la morte di un cantante o di un musicista risulta essere oggi un lutto collettivo che coinvolge complessivamente tutte le generazioni. Ciò rende queste dipartite un evento molto sentito in quanto, non essendoci ricambio, ci rende consapevoli che difficilmente il posto lasciato sarà riempito da un altro artista. E, come è stato detto, quando muore un artista siamo tutti più poveri.
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