Nella quotidianità ci troviamo ad esprimere e a recepire un malessere diffuso, che attribuiamo a fattori esterni sociali quali la crisi economica e la disuguaglianza sociale: “ma qual è il disagio profondo con cui ci confrontiamo ogni giorno nella nostra epoca?”
La mia formazione di psicologa esperta nella lettura delle dinamiche dei sistemi umani mi porta a fare ipotesi rispetto al disagio diffuso che permea ogni aspetto del nostro vivere quotidiano attuale e il primo quesito che mi viene da porre è: “Quali sono le passioni che muovono la crescita delle persone oggi?”
Questo è un punto focale da cui partire, poiché negli ultimi 20 anni si è passati dal mito idealizzato dell’onnipotenza dell’uomo unico artefice del proprio destino, nel bene e nel male, ad una percezione di impotenza, sfiducia nelle proprie possibilità e profonda delusione di fronte alla constatazione dei limiti umani.
Già Freud ne “Il disagio della civiltà” affermava che l’uomo, in mancanza della felicità si accontenta dell’evitamento dell’infelicità: oggi assistiamo proprio a questo fenomeno, e come si può immaginare, quando si pensa in negativo, gli insuccessi sono assicurati.
Il futuro in quest’ottica è il soggetto di affermazioni minacciose, di porte chiuse, di vittimismo autoindotto.
Gli adulti consegnano all’età evolutiva questa immagine sfiduciata e dura dell’avvenire, provocando il blocco della naturale tendenza alla motivazione autoaffermativa della crescita: il pensiero, gli ideali, la voglia di cambiamento appaiono spinte pericolose e inutili dispendi di energia, poiché il sentimento comune nella società di oggi è la difesa da minacce diffuse, che non si ha il coraggio di affrontare apertamente, ma sono oggetto di rimozione generalizzata, come se tutto ciò “non fosse affar nostro” e la “colpa” (termine patologico e semplicistico, ma molto diffuso) fosse sempre esternalizzata.
Questa è l’atmosfera che apprendono bambini e adolescenti, i quali diventano “impermeabili” ai legami e alle relazioni e disgregati nella loro singola individualità.
La società di oggi non preserva la capacità di desiderare come motore della crescita, ma la sostituisce con la richiesta di soddisfazione di voglie, che non sono altro che desideri impoveriti, formattati e normalizzati, che non spingono al cambiamento.
“Qual è la possibilità di attuare un cambiamento reale in questa atmosfera pervasa da sfiducia e impotenza?”
A mio parere gli individui hanno bisogno di tornare in contatto con la dimensione della fragilità insita nella condizione umana, che non è né forza né debolezza, ma consapevolezza della complessità, al fine di recuperare un rapporto di interdipendenza e di legame con gli altri, una condivisione che riattivi la capacità di poter pensare in termini di costruzione e passione sociale del cambiamento desiderato, a partire da obiettivi piccoli, ma concreti, senza sfociare nell’utopia demotivante.
Voglio chiudere questo articolo con una citazione di Watzlawick, Weakland e Fisch estrapolata dal libro “Change” che calza alla perfezione ciò che era mio obiettivo comunicare:
“Se è un individuo a non riuscire a raggiungere la meta che si è prefisso, le ripercussioni sociali sono pressoché nulle; se invece a fallire sono i programmi governativi di vasta portata, gli sprechi e le frustrazioni possono essere enormi. A nostro parere è soprattutto in questa zona che si può effettuare un cambiamento efficace, centrando l’attenzione su mete modeste ma concrete, procedendo lentamente e gradualmente, anziché promuovere iniziative con finalità grandiose e vaghe, certamente desiderabili, ma altrettanto certamente inattuabili”.