Dalla nascita alla fine dell’esistenza l’uomo non può non comunicare, proprio come non può decidere di non respirare: la comunicazione è il fattore che più determina quale tipo di relazione quella persona stabilirà con gli altri e che cosa succederà a ciascuno nella propria vita. Ogni bambino che viene al mondo arriva soltanto con materiali grezzi, nessun concetto di sé e nessuna esperienza di interazione con il mondo. Ma fin dal primo sguardo scambiato con la madre inizierà ad apprendere le strategie di comunicazione, principalmente per imitazione.
Con il tempo quel bambino attraverso l’apprendimento di molteplici esperienze di condivisione di comunicazioni svilupperà idee su come gli altri lo vedono, su cosa ci si può aspettare dagli altri e saprà valutare il possibile e l’impossibile rispetto al proprio agire.
Una volta che le comunicazioni sono apprese durante l’età evolutiva, se vogliamo, possiamo predisporci anche a modificarle, ma per far questo bisogna conoscere bene quali sono gli elementi che entrano e fanno parte del processo di comunicazione.
Cosa portiamo dentro la nostra comunicazione con l’altro?
-il nostro corpo, la nostra fisicità,
-i nostri valori (i “dovrei, si deve”),
-le aspettative sugli esiti di quella specifica comunicazione inferite da precedenti simili esperienze,
-l’esperienza sensoriale, ovvero tutti gli input che ci arrivano dai nostri 5 sensi durante l’interazione, -la nostra capacità verbale,
-il nostro cervello, il magazzino della conoscenza.
Molte persone si dimenticano di alcuni di questi aspetti e proprio a causa di ciò possono strutturarsi delle distorsioni della comunicazione, che se assumono carattere di ridondanza potrebbero instaurare vere e proprie patologie della relazione.
Una trappola della comunicazione è il presumere che l’interlocutore conosca tutto di noi, tanto che risposte dell’altro non in linea con questa convinzione hanno l’effetto di instaurare dei conflitti impliciti e delle percezioni di disconferma, irrisolvibili se non con un chiarimento rispetto alle premesse dell’uno e dell’altro partecipante all’interazione.
Un altro errore è adottare il metodo dell’allusione, ovvero utilizzare un numero insufficiente di informazioni dando per scontato che bastino all’altro per capire il messaggio non esplicitato.
Può inoltre avvenire che una persona supponga sempre che qualunque cosa dica, tutti gli altri dovrebbero capirla, come se gli altri potessero agire la lettura della mente.
Nella comunicazione avviene sempre la formulazione di ipotesi rispetto ai significati altrui, ma dobbiamo sapere che esse non sono accurate al 100%, per cui è importante verificare se il messaggio codificato dal ricevente sia coerente con ciò che l’emittente voleva comunicare.
Spesso le trappole che ho descritto si instaurano nella comunicazione tra persone coinvolte affettivamente, spesso in famiglia o nella coppia, come a voler dimostrare il seguente sillogismo: “se noi ci amiamo, possiamo anche (o addirittura dovremmo) leggere la mente l’uno dell’altro!”
In tali contesti affettivi le risposte possono avere il carattere di automatismo e spesso utilizzano un linguaggio giudicante e non descrittivo, per cui il messaggio implicito che veicolano prescinde dal contenuto, ma arriva dritto a colpire la relazione.
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Più che un commento vorrei fare un pubblico ringraziamento a Elena che ho la fortuna di conoscere personalmente per la sua professionalità ed entusiasmo che mette in ogni suo intervento. Bene hai fatto direttore Michele a dare spazio ad Elena.
Buon lavoro e a presto...Benedetta ti aspetta quando vuoi.
Andrea Laurenzi