“…il vuoto strutturale della società occidentale moderna proviene dall’assenza del padre: se il padre non c’è più, l’intera architettura familiare è destinata a crollare; se il padre ha dimissionato non ci saranno più neppure i figli, i fratelli, i cugini; mancando i punti di riferimento, la stessa salutare dialettica tra le generazioni viene meno e si trasforma in una mera lotta per il potere tra vecchi e giovani“. – Eugenio Scalfari
La psicologia da sempre ha focalizzato la primaria ed esclusiva attenzione al ruolo materno nello studio dello sviluppo infantile, “dimenticando” la figura paterna e spesso connotandola come “periferica e poco significativa”.
Su questo pregiudizio teorico, questa parziale cecità dei terapeuti e dei ricercatori, si sono diffuse pratiche cliniche rivolte alla salute mentale infantile che trascurano di considerare il sistema “famiglia”, annullando la complessità che la caratterizza.
Ben poca attenzione negli anni è stata data al vero motore della famiglia, che è la coppia, formata da madre e padre.
Nella società odierna si impone ancor più che in passato che si ripensi al ruolo del maschile e del paterno all’interno della famiglia, anche a fronte della nascita e diffusione delle cosiddette “nuove famiglie”: famiglie a doppia carriera, famiglie ricostituite, famiglie separate…
E allora ci chiediamo: come si connota la relazione padre-figlio nella crescita di quest’ultimo?
Sicuramente il padre assume fin da subito una funzione maggiormente accuditiva e ludica piuttosto che nutritiva, ma questo è ancora un dato culturale, perché se fossero i bambini a decidere come utilizzare le risorse paterne e materne potremmo osservare una meno netta contrapposizione di ruoli: i bambini infatti esprimono i loro bisogni sia all’uno che all’altro genitore e, dal momento che richiesta di un bisogno e soddisfacimento dello stesso sono in rapporto circolare tra loro, essi saprebbero come dar vita a modelli relazionali diversi con padre e madre, senza introdurre la conflittualità che spesso la demarcazione dei ruoli operata dagli adulti crea.
Purtroppo i bambini ancora oggi vengono poco osservati dagli adulti, troppo occupati o a proteggerli o a inserirli in una dinamica di coppia, o in tensione, nella continua messa in discussione delle proprie capacità genitoriali da modelli mediatici di perfezione astratta e superficiale.
Ciò che a mio parere va tenuto presente nel lavoro clinico è che è indispensabile guardare alla famiglia come ad un sistema di relazioni triadiche, in cui il padre non può essere dimenticato.
Con questo, però, non dobbiamo correre il rischio di dare per scontato un unico modello di paternità, perché esso deve sempre essere riferito alla famiglia nucleare al quale appartiene.
“Scoprire il padre” all’interno della stanza di terapia (ma anche fuori, nella società) vuol dire accrescere le risorse di una famiglia e permettere che i figli possano apprendere più di se stessi.
Come scrive lo psicologo americano Biller, “è sempre maggiore il numero dei bambini che crescono con solo la metà di ciò di cui hanno bisogno. È probabile che essi saranno solo la metà di ciò che dovrebbero essere“.