Ho appena scoperto che non pagherò il superbollo per una decina di cavalli (quelli della macchina). Meno male. Il suffisso super è sempre stato sinonimo di cose super appunto, nel senso buono. Superman, l’eroe di sempre, e tu che ti immagini di salvare la bellona che cade dalle cascate delle marmore.
Da bambini tutto è superfluo e la superficialità è la normalità. Qualsiasi cosa fatta, gioco, regalo diventa superlativo. Poi cresci un po’, sei adolescente, ascolti il cd player (oggi l’ipod) e guardi il babbo che si gongola con l’autoreverse dell’autoradio e pensi che è superato. Giochi al superenalotto pensando così che il lavoro per te sarà un miraggio e poi aspiri a diventare superno mangiando supercrema giandujot (alias Nutella – chi lo sapeva che si chiamava così mi chiami che ha diritto a un vitalizio). Poi cresci e il super passa dall’altra sponda, quella delle negatività. Si comincia col supermercato il sabato con lo spesone e la battaglia dei carrelli che puntualmente vincerà la zitella acida di turno. Superman è diventato un sogno rimpiazzato dalla realtà: una superdonna che si comporterà come una superiora e lo potrà fare ricordandoti puntualmente che quella del superdotato era una leggenda raccontata agli amici. Vivrai di superstizione aspettando la data del mese in cui scade la supertassa. La superficie che da bambino era solo un prato verdissimo in cui sguazzare a svacco, oggi corrisponde a quella della prima, seconda e terza casa ergo superficie=ICI. E dovrai pagare tutto perchè ci sarà sempre un supervisore del fisco pronto a farti le chiappe a strisce. Non resta che aspettare l’esito catastrofico di una supernova consolandosi di tanto in tanto con l’unica cosa superganza rimasta per gli adulti: “tarapìa tarapioco, come se fosse antani, pastene soppellati sopperdatati, stuzzica la supercazzola con scappellamento a destra”. Colonna sonora: The logical song By Supertramp
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