Sarà uno dei nuovi comandamenti da scrivere direttamente sul monte Fumaiolo sotto la cascatella del Tevere. Il titolo è ganzo, la sostanza meno: “Spacca una gamba a un senegalese: “parlavo il dialetto e non mi capiva”. Dove sarà successo? Ovviamente non a Sciacca e nemmeno in Toscana per la verità. Certo tenere strette le proprie origini, anche dialettali, è un punto che mi trova d’accordo. C’è modo e modo tuttavia e comunque un senegalese che parla il veneto, ostregheta, non me lo immagino neppure.
Come chiedere a un chianino di parlare il veneto in effetti, o del resto a un veneto di parlare il chianino. Da una prima prova mentale fuoriesce il dramma. Il balèngo veneto in Chiana diventa lo sciorno; la chianina pròda del fiume in Veneto diventa la bànca, mentre il simpatico barbastrejo vola in Chiane sotto nome di nottela. Il disoccupato di Vittorio Veneto ha dato una caciàna al povero senegalese, in Chiana avrebbe dato direttamente una mìna. L’eloquente locuzione “no’l me ga cagà” (non mi ha dato retta) in Chiana è molto simile “un m’ha caco de striscio“. Anche lo sderupato chianino in veneto è simile e diventa derupià e incredibile, una parola identica e con stesso significato: entrante! Vedi che l’unità può esistere? Certo se poi per dire allentato il veneto mi usa làsco e il chianino moscio tutto si fa di nuovo difficile. Eppure il lezzo chianino non è tanto diverso dal lèzo nordico. Non so quale potrebbe essere la morale, perchè se da un lato verrebbe da dire “moglie e buoi dei paesi tuoi”, dall’altro si potrebbe gioire per tutta questa varietà. Mah… come si dice in questi casi (in Chiana) “chi vole l’uva grossa, zappi la proda e scavi la fossa” e del resto (in Veneto) “quando che l’omo xe pien de vin el te parla anca in latin” (o chianin?). Colonna sonora: Fratelli d’Italia By Goffredo Mameli