Mi sento un po’ come quando andavo a scuola e ogni dieci minuti di notte mi alzavo per vedere se aveva nevicato per non prendere l’autobus e rimanere a letto. Questa nevicata mi ha salvato da una lunga trasferta di lavoro e infatti questa mattina mi sono permesso di tornare un po’ adolescente e fare colazione con i tarallucci (quelli originali). Ai lati positivi del rimanere bloccati dalla neve in un paesino di campagna, si aggiungono quelli tragicomici tipici di un posto in cui nevicate di questo genere sono un evento in tutti i sensi. A partire dalle scuole chiuse. Dagli asili alle superiori. Ai miei tempi per chiuderle non bastava nemmeno la siliconatura alla serratura. Così mentre i bambini sono tutti in giro a fare pupazzi di neve a forma di dragon ball, le mamme stanno per andare a fare rifornimenti di cibo da stivare nel bunker. Prima di uscire di casa però è meglio vestirsi caldi. “Caro, ma dove abbiamo messo i doposci? Ah eccoli! No, questo è il cane. Dove saranno….”. Sì perchè la signora è andata in montagna una volta, forse due in vita sua e i doposci sono rimasti sempre gli stessi, quelli di pelliccia (di quale povera bestia non l’ho mai capito). Se il problema calzatura è risolto, occorre evitare l’assideramento del corpo. Meglio indossare la tuta da sci (anche questa di venti anni prima): una salopet della colmar che un tempo era nera, ora ingrigita dal tempo come i capelli della signora. Viene indossata con cautela perchè nonostante la naftalina nel sacco è un pezzo unico. L’allacciatura della zip si ferma, se va bene, a metà strada, ma non importa perchè sopra c’è la giacca a vento anni ’90, quella con le fantasie che sembrano una foto scattata al delfinario di riccione e rielaborata col photoshop. La vestizione finalmente è terminata, si può uscire, non senza prima aver indossato il cappello col paraorecchi e i guanti, anche questi da sci. Il marito invece, dopo aver passato mezza mattinata a montare le catene anche se la macchina resterà in garage (“le ho comprate, diamine, e ora le voglio mettere!”), è preso da un attacco nostalgico e se ne va in soffitta a cercare quei due tronchi che per una o due volte lo hanno fatto sentire Alberto Tomba. Sono sci marca “Tua” dai colori più impensabili che ricordano l’acqua del mare. Uniti a questi gli scarponi, comprati alla fiera dell’antiquariato di Arezzo e pagati pure tanto perchè, si diceva nel certificato, appartenuti a Frankenstein. Per un attimo è pure tentato di provarli sul vialetto di casa, ma poi, pensa, la sciolina si sarà seccata. Nel frattempo i bimbi hanno finito il quarto pupazzo di neve e rientrando si ritrovano mamma e babbo in quelle condizioni e pensano che un giorno, forse, loro saranno migliori. In sottofondo il rumore delle catene sull’asfalto già pulito dagli spazzaneve. Colonna sonora: Frosty the snowman By Gene Autry
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