Tempo fa mi sono chiesto che fine avesse fatto uno dei più grandi punti interrogativi della mia serena infanzia di ragazzo di campagna. Erano i primi anni ’80 e all'”All Music Shop”, fortunato negozio di dischi della Valdichiana nel quale sono cresciuto tra punk e diggei di allora, all’età di 6 anni già producevo playlist. (Se avessi saputo che “fare le cassette” per le ragazze voleva dire essere ganzo credo che avrei perso la verginità a 8 anni).
Tra l’odore di moquette e le puntine del giradischi, la mia parte preferita era lo scaffale dei 45 giri. Mi ricorderò per tutta la vita il giorno in cui il corriere del mercoledì, l’english man in Chiana, tale Paul che già allora parlava di “the end of the mondo”, arrivò con “No east no west” (b-side Cry, che era anche più bellina). E’ lì che ho conosciuto Scialpi, icona sì, dei gay che negli anni ’80 non osavano fare outing in un paesino di campagna, ma io li conoscevo tutti perchè come quando sei andato a comprare i preservativi per la prima volta, il 45 giri del loro idolo lo nascondevano sotto all’Lp Fotoromanza della Giannona nazionale. “Zia, perchè quel cantante si trucca?”. Era la mia domanda a mia zia, che diplomaticamente rispondeva “perchè è una star” (è la stessa risposta che dò oggi a chi mi chiede perchè uso clinique e non chanel). Una volta un amico di mia mamma in macchina canticchiava Scialpi: ho guardato la moglie e all’età di sette anni ho chiesto perchè si fosse sposata con lui. Si sono lasciati dopo qualche anno.
I miei dubbi si sono sciolti qualche mese fa quando su Panorama ho letto un’intervista alla rinascita del grande artista degli anni ’80, oggi Shalpy, “icon man”, come si autodefinisce. Di chi o cosa stavolta non lo sa nessuno, ma una certezza ce l’ho, eccome: a 32 anni senza ancora un capello bianco in testa ho capito finalmente il perchè del ritornello. “No east, no west, we are the best”. Era l’unico modo per fare la rima. Colonna sonora: Cry By Sc(h)ialpi(y)
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