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Gli esami, i miei, sono finiti!

Era l’estate del 1999, primo anno dell’esame nuovo. Quello con la terza prova (due erano poche?). Quello che se tornavi a casa e dicevi ai tuoi “ho preso 60” ti ridevano in faccia perché era diventato il minimo sindacale. Fu un’estate calda. Dopo il look capelli d’angelo (si un po’ alla nino, un po’ all’angelo proprio) ero arrivato agli ultimi giri con un taglio raso-cute ossigenato (ahimé anche io ho sofferto di tamarrite) e sguazzavo per le vie della Chiana in cerca di qualche rana che mi desse ripetizioni con una Uno (la fiat) bianca, il primo modello, quello coi finestrini a manovella, quello che d’inverno per scaldarla dovevi arrivare prima a Trento e poi potevi tornare indietro.

La Discomobile (così la chiamavamo noi amici maturandi) avrebbe finito la sua corsa quell’estate, abbandonata in un parcheggio dove si sarebbe riempita di nidi di vespa. Musica sempre a palla. Non c’era l’ipod, ma sul cd player suonavano spesso i Simply Red anni ’80 e qualcosa di Peter Gabriel. Era anche l’anno della disco pop di Neja, di Des’ree con Life. Dopo cinque anni di studio e pagelle con la media del 7, gli ultimi tre mesi divennero una nebulosa. Improvvisamente le sottolineature a matita sui libri scomparvero e dalla testa non uscivano pensieri che non fossero legati a “finalmente è finita” o “libero” o “università” o “in culo il greco”. La notte prima degli esami la passai praticamente davanti all’ippodromo di Farneta (ma esiste ancora?) ad aspettare che un cavallo bianco mi pestasse con un calcione e mi mandasse in ricovero all’ospedale di Arezzo (perché  quello della Fratta ancora non esisteva). Finalmente è arrivato il primo giorno. Gli scalini del Liceo Petrarca di Arezzo sembravano ancora più ripidi. Una volta individuato il corridoio del sacrificio mi avvicino al patibolo come fossi un man dead walking. Traccia dei temi che arriva imbustata e i profs che ti fanno sentire il peso del “sigillo” ministeriale (ecche è il signore degli anelli?). Feci la prova sotto forma di articolo di giornale (dovevo capire il mio destino fin da allora) non sapendo che un articolo non supera le 100 righe e infatti scrissi tre protocolli su temi attuali (di allora). La prova di greco del giorno dopo: un passo tratto da Le Rane di Aristofane, quelle che esaltano Eschilo. Fino a un attimo prima pensavo che Eschilo fosse il cacciaeppesca dove per anni mi ero rifornito di bachini e le rane conoscevo solo quelle di Brolio. Infatti non ci cavai le gambe. Terza prova: sfilza di domande su ogni cosa. Mi colpì quella di filosofia su hanna arendt (ma chi c…o l’aveva mai sentita??) segno di un femminismo spietato e infatti da maschilista me l’andai a studiare sul momento sul bignamino infilato nelle mutande fingendo un attacco di colite (tranquilli non era vera colite e il bignami rimase pulito). Orale. Ho sempre preferito abbinare questo termine ad altre circostanze, però mi toccò anche quello. Una volta finito l’interrogatorio uscii su quel cortile che per cinque anni era stato l’ora d’aria e urlai “LUUUUUUUUPO” (non riferito a chi pensate, ma semplicemente all’animale dei boschi del Casentino). Alla fine un bel 72/100 che mi avrebbe aperto le porte del paradiso. Fu l’estate più ganza della mia gioventù mezza bruciata. Colonna sonora: Uno su mille ce la fa By Gianni Morandi

Alessandro Maurilli

Giornalista, chianino igp (come la razza) e soprattutto amante e anche abbastanza esperto (dicono gli altri) delle cose buone da mangiare e da bere, argomento che ama sperimentare anche nella cucina di casa sua. Su Valdichiana Oggi pubblica i suoi pensieri bislacchi nel blog Piove col Sole e nel periodo di sagre recensioni e pesantissimi giudizi sugli eventi mangerecci della vallata (da maggio a settembre infatti il suo peso è a rischio lievitazione). Il suo motto e anche stile di vita si rifà al famoso detto dei Lumacons di Foiano: “Fiorin fiorino, fiorin fiorello, se mi disturbi t’aiusso il bove”.

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