Se Shakespeare avesse vissuto ai nostri tempi credo che avrebbe trovato tante declinazioni al canonico To be or not to be. Sono infiniti i dilemmi oggi. In questi giorni mi sono trovata a riflettere sulla possibilità di fare l’ennesimo stage – non pagato ovvio – e nel valutare se questi stage prima o poi portino veramente a qualcosa. E su questo punto il mio cervello improvvisamente si è fermato – cosa che non capita così spesso come la maggior parte della gente pensa.
Ah l’aumento delle competenze certo, a questo gli stage portano, ma in termini puramente concreti e se vogliamo un po’ venali…..conviene? O sono solo ottimi strumenti per perdere peso e per sprecare benzina non rimborsata? Negli stage che ho fatto non ho ricevuto neanche un buono caffè figuriamoci un buono pasto.
Insomma invece del teschio in mano, della faccia contrita e del chiedersi se essere o non essere l’Amleto moderno tiene il Cv in tasca, la connessione perenne sui siti dei ricerca del lavoro nello smartphone di ultima generazione – se è donna l’orologio biologico in testa – e si interroga se lavorare gratis, per ottenere un giorno lontano forse un lavoro o non lavorare gratis e non tentare neanche di ottenere il lavoro che potrebbe essere quasi attinente al proprio percorso di studi!
Questo si che è un dilemma. Meglio un uovo oggi o una gallina domani…..?
E mentre il mio Cv piange perchè probabilmente potrei non accontentarlo con l’aggiunta di un nuovo stage mi rendo conto che forse quella che realmente mi manca è la fede. Uno stage è un vero e proprio atto di fede.
Fede nel nostro prossimo – ente/individuo che commissiona lo stage – fede che terrà in considerazione il nostro impegno, fede nei prossimi – datori di lavoro – che non sapranno neanche cosa hai fatto in quel periodo di lavoro non pagato e fede che quello stage ti possa dare qualche punto in più rispetto ad altri in una selezione o in un concorso pubblico.
Si è’ proprio la fede che mi manca……..
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12 anni fa, uno stage a Milano mi ha permesso di entrare nella professione che volevo fare da grande dalla porticina accanto al portone principale. E dopo 3 mesi avevo il primo contratto in tasca. Quando fu istituito lo stage funzionava. Non credo che alla fine siano state le ricorrenti crisi a peggiorare la situazione, quanto la scarsa cultura delle risorse umane che si riscontra in tante aziende italiane. Uno stage è buono se si acquista professionalità in cambio di tempo. Con gli anni lo stage è diventato tempo in cambio di nulla. Ma le aziende hanno bisogno del tempo delle persone, soprattutto se si tratta di tempo qualificato, come quello di tanti giovanni ultra-laureati.
Forse piuttosto che accettare stage converrebbe proporre di essere pagati una (piccola) cifra per un (piccolo) lavoro con il quale dimostrare (se c'è ovviamente...) il proprio talento. Un piccolo risultato sul quale costruire eventualmente un rapporto di lavoro futuro. Dare qualcosina, in cambio di qualcosina. Sarebbe molto più onesto e redditizio per tutti. Le forme contrattuali x farlo ci sono. Permetterebbe di superare l'ipocrisia che si nasconde dietro tanti stage.