L’altra mattina come solevo fare almeno 3 volte alla settimana mi sono recata in pellegrinaggio verso il centro di Arezzo nonostante il solleone armata dei miei soliti Cv e dopo aver lasciato saggiamente la carta di credito a casa per evitare spese impreviste che d’imprevisto oramai hanno ben poco. Come ogni mattina la prima tappa doverosa è fare colazione in una delle piazze più vissute di Arezzo, a 5 metri dal luogo dove di solito compio i miei raid di shopping “imprevisti”. Il masochismo è sempre presente.
Come ogni mattina ho preso il mio bel cappuccino fumante al bancone del bar e me lo sono portato fuori nel solito tavolino con vista passanti stando attenta a non spalmarmelo addosso. Adoro questo scorcio cittadino, dal quale tra le colonne del porticato intravedo la gente che passa, in bicicletta, a piedi o che chiacchiera davanti all’edicola e tra una sbirciata e l’altra mi trovo a pensare con dolcezza a queso “paesello” che è Arezzo – certe volte da un momento all’altro aspetto persino che mi spunti Don Camillo e Peppone da un angolo.
Questo idillio mattutino che si susseguiva da più di un anno dall’altra mattina mi è stato bruscamente interrotto da una voce squillante che mi ha poco gentilmente chiesto di alzarmi dal mio tavolino con vista e di spostarmi nella zona “Self Service” perchè quella era diventata da poco tempo la zona “servito”. E quindi io comune mortale di terza classe non ero gradita, non potevo stare seduta lì. Sarà che la mattina i miei neuroni sono ancora mezzi addormentati, ma ci ho messo davvero parecchio a capire che c’era un divisorio, una sperazione tra i tavolini subito fuori dal bar concessi solo a chi si faceva portare da bere al tavolo e quelli che per arrivarci si fa prima a prendere l’autobus destinati a chi come me se lo porta da solo il caffè, con le proprie manine. Tempo fa fece scalpore l’ingresso della terza e quarta classe nei treni ora si procede anche a dividere i tavolini, menomale che non devo prendere il Titanic.
Ora posso capire che ci possa essere una differenza di prezzo tra il serivizio al tavolo e la consumazione presa al bancone, ma una separazione così netta, fisica tra il servito e il self service con tanto di disegno caricaturale al limite dell’offensivo sul tavolo del self service è eccessivo. Sui tavoli in piccionaia sui quali non mi risiederò mai più e che non vengono neanche adeguatamente puliti campeggia una stampa di un divieto sopra l’immagine di una cameriera. Ci mancava solo che mettessero le transenne per separarci, magari anche un percorso ad ostacoli.
Invece che andare avanti qui si va indietro. Non mi stupirei se adesso mi venissero anche a prendere con un calesse per andare al mercato in città. Un tuffo negli anni 40, ma in quegli anni 40 che aldilà della musica e dell’abbigliamento che adoro hanno ancora il sentore di classe sociale, di ghettizzazione persino al bar.
Nel film La vita è Bella Benigni raccontava al figlioletto la “favola” che nei bar si poteva scegliere chi non far entrare dopo che aveva visto il cartello appeso davanti alla porta d’ingresso “vietato l’ingresso ai cani e agli ebrei” oggi la divisione in questo tempo di crisi è in base al reddito? E poi ci si lamenta che la gente non consuma.
Io self service ergo cambio bar.