Ho sempre sostenuto, e sempre sosterrò, che per interpretare i social network e saper surfare con leggiadria nelle onde impetuose di un oceano troppo immenso quanto sconosciuto, siano richiesti due requisiti di base: o hai vissuto l’era dei Messenger; o sei nato dopo il 1997 e con i social ci sei cresciuto, inzuppandoci dentro i Plasmon.
Chi non ha almeno uno dei due requisiti è fortemente vulnerabile. Non ha gli anticorpi. O la patente, se si capisce meglio. La spiegazione di questa mia teoria sociologica è discretamente articolata e leziosa, basterà dire per il momento che passare da L’eredità di Carlo Conti all’infinito dei social – senza tappe intermedie – è come dare una Ferrari a un ragazzino senza patente. Come far scendere la Gran Risa alla seconda lezione di sci.
Eppure, volendo continuare la metafora degli anticorpi, sta dilagando a macchia d’olio l’epidemia dei gruppi WhatsApp, probabilmente l’unico social – o più precisamente un servizio social – per il quale gli anticorpi di cui sopra sembrano non essere sufficienti.
Siamo tutti frangibili. Vulnerabili. I gruppi WhatsApp – eredi con i risvoltini e le Converse delle chat di gruppo – si evolvono secondo delle precise regole antropologiche e sociologiche che sfuggono a ogni letteratura precedente. La nuovissima opzione del tag, che permette di notificare un messaggio a un determinato contatto all’interno di una chat collettiva (chi da secoli ha silenziato i gruppi vivrà sonni agitati, tac!), è solo l’ultima regoletta di un giochino di società che sarebbe anche caruccio, e senza dubbio innocuo, se non fosse che 1) ogni giorno nascono nuovi gruppi, inglobando o mixando chat già esistenti, e ponendo serie difficoltà a chi ha un minimo interesse a seguire la vicenda – con conseguenti perdite di tempo enormi; 2) molte comunità reali (squadre sportive, classi scolastiche, associazioni… finanche Giunte comunali o Consigli dei ministri!) per comodità finiscono per sostituire il confronto diretto con il confronto su Whatsapp. Ed è una bestemmia.
Le peculiarità – senza precedente! – dei gruppi WhatsApp:
1) Fondamentale, prima di ogni cosa, è esserci. In più gruppi possibili. A starne fuori ci si sente come quando da bambini si formavano le squadre per la partitella al campo, e tu restavi sempre l’ultimo a essere scelto. In Msn la formazione di chat di gruppo era più effimera, estemporanea. Ogni sera si creava il capanello più opportuno, non erano massonerie, non erano circoli riservati ai soli soci, e la sera dopo si ricominciava. E le chat non accompagnavano tutta la nostra giornata.
2) Quando ci sei, poi, tempo qualche giorno e silenzi il gruppo perché le notifiche sono la principale causa di stress dell’uomo post-post-moderno. Lo silenzi per un anno. Potrebbe venir fuori, allo spuntar di luna, una discussione seria, tu non vieni notificato, ne resti fuori e alla fine succede che a) un membro ti sollecita in privato (annullando di fatto il significato del gruppo) oppure b) nessuno ti caga di striscio e tu ti incazzi. Ma con chi?
Nb: nei telefoni gamma Sony, ma credo in tanti telefoni Android, esiste la modalità Stamina che praticamente sospende i dati quando non usi il telefono, in altre parole si silenziano i gruppi senza silenziarli davvero. Vivamente consigliata.
3) Le chat “parallele” e private dove si commenta ciò di cui si discute pubblicamente di là, nel gruppo. Come se al ristorante, nel corso di una conversazione, all’improvviso ti mettessi a sussurrare all’orecchio del vicino commentando la cazzata che ha detto Tizio.
4) Quando poni una domanda o richiesta collettiva, magari una questione seria, possono passare ore interminabili prima che qualcuno abbia il coraggio di stampare la sua sentenza. Classico esempio: la quota per un regalo di compleanno. Non ci si espone mai così apertamente perché non vedendo negli occhi degli interlocutori un possibile accenno di assenso o dissenso, non sai mai se stai dicendo una cosa intelligente o se stai pisciando fuori dal vaso. Poi, se arriva il coraggioso che scrive e tu concordi, allora via senza pensarci con l’emoticon del pollice alto.
5) I gruppi potrebbero e dovrebbero avere anche l’accezione nobile di agevolare la condivisione e la collaborazione, ma se chiedi un favore succede che ti risponde solo chi ha validi motivi per non poterti aiutare, giustificandosi tavolta con toni risentiti (2 o 3 punti esclamativi rappresentano convenzionalmente il sentimento di risentimento, no?). Chi può ma non ha voglia, silenzio stampa.
Provate invece a inviare lo stesso messaggio anteponendo però il nome di un membro…Tempo 5 minuti e sarai accontentato.
6) Nei messaggi vocali si tende a ripetere la stessa cosa più volte, forse perché ci aspettiamo inconsapevolmente che qualcuno ci dica “ok ho capito, abbozzala” o forse perché ci garba da morire parlare a ruota libera senza contraddittorio.
7) La famigerata doppia spunta blu, causa maggiore di litigi nelle coppie nel 2015, nei gruppi perde di valore perché la visualizzazione collettiva è pressoché un’utopia. Però c’è chi non demorde e controlla con l’intelligentissima I in alto a destra tutto il report dettagliato della ricezione del suo messaggio, e poi prende appunti. Mentali. Pronti per essere rinfacciati al momento opportuno. Neanche Fabio Fazio è così rancoroso nei confronti dei suoi spettatori.