Anche un ipercritico come me non può esimersi dal fare i complimenti a Ricky Tognazzi per la sua regia de “La Freccia del Sud“, fiction andata in onda su Rai Uno domenica e lunedì e dedicata al supremo Pietro Mennea. Pur con gli inevitabili difetti di tutte le fiction (un po’ di forzature per questioni di tempi e necessità narrative) la “Freccia” ha evitato agevolmente la caduta nel ridicolo, nel patetico, nel retorico nazional-popolare, ha evitato di riscrivere in chiave buonista una parabola umana di ben altra fattura e soprattutto è riuscita a emozionare. Il coro di Tweet (lasciamo perdere Facebook, lì c’è il pubblico de Lo Show dei record…) è stato unanime nell’approvare il lavoro, caso più unico che raro visto che quel social in Italia è usato quasi esclusivamente per fare sarcasmo e criticare.
Ma il vero merito, ovviamente, è del personaggio raccontato nella storia: Pietro Mennea
E’ superfluo, oggi, definirlo un uomo straordinario perchè finalmente l’hanno capito tutti
Il merito è della fiction: lo ha raccontato a quelli che non lo conoscevano (buona parte degli under 35), trasformando miracolosamente tutti gli italiani, comprese le casalinghe di Treviso e quelli che in vita loro non hanno mai corso neanche per prendere l’autobus in uno stuolo di sportivi espertissimi e soprattutto adoratori dell’atletica, sport che ormai da decenni è fra i più bistrattati e dimenticati in Italia.
Buon esempio di fiction decente e utile, quindi, che offre qualcosa di diverso alla prima serata Rai 1 dopo una sfilza interminabile (e insopportabile) di agiografie
Che Mennea era un grande, ora e solo ora, l’hanno capito anche quelli che l’hanno sempre tenuto lontano da dove si comandava perchè aveva, dicevano, un caratteraccio. In effetti era un tipo polemico, fin troppo autonomo, ingovernabile, testardo fino all’inverosimile. Come tutti i grandi
L’Italia ha finalmente (ri)capito. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Ma il rischio di questa fiction è che abbia lo stesso effetto di una medaglia d’oro olimpica.
Avete presente? Un oro, qualsiasi oro azzurro, ci emoziona come poche altre cose. Siamo davanti alla Tv, trepidiamo, gioiamo, ci godiamo il trionfo e l’inno nazionale, il tricolore che sale sopra tutti. Scatta l’orgoglio di sentirsi italiani.
Ma poi passa. E a una settimana dalle Olimpiadi nemmeno ci ricordiamo come si chiama quel tizio che tante emozioni ci ha trasmesso.
E bbonanotte
La finale di Mosca 1980. “E recupera recupera recupera recupera…”