La settimana che si avvia alla conclusione è stata caratterizzata da un tema centrale: il riconoscimento dei diritti al mondo “LGBT“, ossia quella variopinta area che racchiude in sè migliaia di persone la cui sessualità mal si adatta alle leggi dell’ordinamento italiano, in cui non sono contemplate fattispecie esistenti invece in molti paesi esteri fra cui, ad esempio, il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’adozione ecc ecc
Mentre in parlamento destava dibattito il cosiddetto “DDL Cirinnà” con cui si vorrebbe introdurre in maniera equilibristica, in stile Agostino Depretis, un ferraginoso sistema di “Unioni civili” e “Stepchild adotion” (troppo poco per alcuni, troppo per altri) è arrivato l’episodio calcistico fra Mancini e Sarri a scatenare il dibattito “etico” su Facebook che di fatto ha lanciato all’attenzione dell’opinione pubblica una sorta di sfida delle piazze che inizia oggi: da una parte ArciGay (che promuove “Sveglia Italia”) e dall’altra il Family Day delle associazioni cattoliche
Il tema ha rivelato due elementi principali:
– il primo è che ancora, anche se può sembrare assurdo, in Italia si riesce a passare giornate intere a sindacare sull’identità sessuale delle persone
– il secondo è che il partito probabilmente con più consensi, il PD, su questo tema non riesce a essere compatto
La sensazione di non compattezza non è certo stata risolta da Renzi, che preme per l’approvazione della legge, ma si barcamena malamente tirato per la giacca da tutti i lati, nè dall’adesione di tanti esponenti del PD alla manifestazione di ArciGay. Oggi pomeriggio alla “piazza” di Arezzo prenderanno parte il PD provinciale, alcuni onorevoli ‘di zona’ (non tutti), vari assessori e consiglieri comunali dei Comuni anche della Valdichiana, la giunta cortonese. Aderiscono a “Sveglia Italia”, ma poi stanno in un partito che, in parlamento, non riesce a risolvere la complicata matassa e di sicuro non la risolverà sposando in toto le proposte del mondo LGBT e di ArciGay. E’ un po’ il bis dei lamenti contro il patto di stabilità o l’Imu agricola, introdotta dal governo targato Renzi…
In questo, il PD si ritrova quindi in una situazione del tutto simile alla DC degli anni 70, quando si spaccò in due su tematiche prettamente ‘etiche’ quali il divorzio. Può essere il risultato (naturale) dell’essere un grande partito, ma può anche essere il risultato (evitabile) di una scelta di campo mai fatta, quella fra due posizioni che in tutti i paesi d’Europa sono ben distinte: quella dei partiti socialisti e quella dei partiti moderati – conservatori – cattolici – centristi che su certi temi la pensano molto dversamente
E così, visto che nel partito convivono personaggi opposti come Adinolfi e la Concia, diventa inevitabile in sede parlamentare dover ricorrere a un “voto secondo coscienza” che sa di impotenza e scontenta un po’ tutti, quelli più “progressisti” come pure quelli più “conservatori”
L’errore politico è quello di andarsi a incartare su questo tema, nonostante l’esempio di Prodi nel 2006/08 (due anni passati a discutere dei “DICO” e di altre amenità mentre la grancassa berlusconiana bombardava quotidianamente) e nonostante si sapesse da prima che il partito si sarebbe spaccato. E’ evidente che l’origine del problema è la smania riformatrice renziana, animata dalla doverosa necessità di far vedere che si fa, che mal si concilia con gli equilibrismi alla Depretis necessari su temi e situazioni di questo genere. Renzi, quindi, rischia di diventare vittima della sua stessa personalità politica
E allora che si doveva fare?
Beh, a mio avviso bastava un referendum. I democristiani degli anni 70, molto più politicamente scafati dei loro eponimi attuali, lasciarono che a decidere sul divorzio fossero gli italiani. E fecero bene