Pubblichiamo in anteprima questo articolo di un nostro amico e lettore romano, che sarà pubblicato oggi anche sul blog di Associazione Utoya. Buona lettura a tutti
Il giorno in cui tutto lascia presumere che il Partito Democratico perda una bella fetta di quadri e dirigenti (sui voti a giudicare dalle ultime comunali svoltesi nella città la scissione si è bella che consumata), è una giornata che vede Roma umida ma baciata da un tiepido sole. Nonostante i timori e le apprensioni che si possono leggere sui social, nel tragitto tra via Prenestina, un tempo prima cintura della periferia romana e serbatoio di consenso per il PCI, e Testaccio, altra zona rossa, non si notano scene di apprensione o drammi, nessuno si stappa i capelli o manifesta disperazione in ore che qualcuno arriva a definire “drammatiche”.
I tram passano (con il solito ritardo), i bar aprono, tutto scorre normale.
A piazza Santa Maria Liberatrice un capannello di persone attende che il teatro Vittoria apra per poter prendere posto ed ascoltare quanto diranno Rossi, Speranza, Emiliano ed altri.
Enrico Lucci vestito da cosacco, con un paio di baffoni posticci cerca, come fa da vent’anni a questa parte, di provocare questo o quello tra i tanti esponenti presenti.
Tutto lascia presumere che qualcosa accadrà.
Tutto lascia intendere che la mobilitazione, per quella che era nata come la presentazione del libro di Enrico Rossi “Rivoluzione Socialista”, sia stata preparata per offrire la giusta coreografia rievocando -con le doverose differenze- l’atmosfera che probabilmente si respirò novantasei anni fa davanti al teatro Goldoni di Livorno.
Altra storia, altra atmosfera.
Qui non si confrontano mozioni, al massimo qualche tweet, il braccio di ferro non è tra chi temendo la “dittatura borghese” vorrebbe iniziare la rivoluzione e chi preferisce invece un quotidiano lavoro di riforme per il miglioramento della condizione del proletariato. Tuttalpiù il tema (stando alle cronache delle ultime ore) è chi ha telefonato a chi, se prima o dopo, se il congresso deve svolgersi a maggio, piuttosto che a settembre, se il governo Gentiloni deve sopravvivere o sottostare alle evoluzioni degli equilibri della Direzione Nazionale del PD, mostrando miglior sorte del Governo Letta. Dimissionato non in Parlamento bensì in una riunione di quadri dirigenti di partito.
Molte facce conosciute, note e meno note.
Personalmente incontro compagni (temine desueto ma unico possibile per descrivere la natura dei rapporti) con cui abbiamo attraversato insieme gli anni novanta, abbiamo propagandato le liste dai Progressisti in poi, abbiamo continuato più o meno a fare politica durante gli anni duemila, fino ad arrivare ad oggi.
Forse per la prima volta, specchiandoci ognuno nello sguardo dell’altro, ci sentiamo improvvisamente invecchiati.
Nell’attesa che la kermesse inizi incontro un vecchio compagno, uno di quelli che quando iniziai a frequentare le sezioni del PSI più di venti anni fa, dopo un intervento ti avvicinava e con fare paterno ti esponeva le sue impressioni.
Al giudizio suo e di quelli come lui, ci si teneva, sia se era d’accordo ma ancor di più se ti sottolineava gli errori.
Oggi è un po’ diverso, pare che ascoltare le parole di chi ha più anni di te non vada più di moda.
Arnaldo Subissi, classe 1925, testaccino e socialista, mi abbraccia con una forza che a novantadue anni è degna della più sincera delle invidie.
Arnaldo la piazza la conosce bene, dal lato opposto del Teatro c’era la vecchia sezione del Partito Socialista Italiano denominata “Testaccio”.
Un tempo le sedi periferiche dei partiti avevano i nomi dei luoghi dove esistevano, oppure quelli di esponenti storici, oggi le sezioni chiudono sostituiti da gruppi Facebook che spesso portano nomi di personaggi di film.
Dai referendum su Aborto e Divorzio, al primo centro sinistra (primo e forse unico per la portata di riforme che produsse), al terrorismo, all’organizzazione della manifestazione a Porta San Paolo contro il Governo Tambroni, fino alla stagione del Garofano, in quei locali lui ed altri si sono confrontati, hanno votato documenti, hanno celebrato congressi, hanno vissuto collettivamente gli eventi nazionali e locali, hanno partecipato collettivamente alla storia di questo Paese.
Oggi in quei locali ci vive una famiglia, con ancora all’esterno le insegne dell’ultimo simbolo del PSI.
Quella piazza Arnaldo se la ricorda bene anche perché lì venne arrestato nel 1946. Arrestato e condannato a soggiornare a Regina Coeli per otto giorni dopo la decisione del magistrato. I carabinieri lo presero perché su un muro aveva scritto “W LA GIOVENTÙ SOCIALISTA” ed il giudice ritenne doveroso condannarlo perché aveva insozzato il muro.
Certo a ripensare al clima che si doveva respirare a Roma nel ’46, qualche dubbio sulla salomonicità della decisione è legittimo averlo.
Nel frattempo che lo saluto, sul maxischermo messo davanti al teatro appare Yoda.
Quello di guerre stellari.
Probabilmente deve essere un qualche messaggio criptico che però difficilmente viene colto.
La sua apparizione comunque prepara il primo intervento: inizia Rossi.
Il governatore della Toscana che racconta il motivo per cui ha scritto il libro, rievoca Sanders (da qualche parte quindi quelli che hanno più di sessant’anni li ascoltano ancora) ed espone i motivi del suo dissenso a Renzi. Non riesco a sentire se racconta anche i motivi che lo hanno portato a votare Sì al referendum costituzionale che Renzi ha sonoramente perso.
È la volta di Speranza, che non riseco a sentire perché vengo trascinato in un bar a fare colazione.
Arriva infine Emiliano, che si scusa per aver sostenuto Renzi all’ultimo congresso, ma spiega poi, come titola la home di repubblica.it, che l’ha quasi convinto a spostare la data del congresso.
Grande ovazione si scatena quando Emiliano evoca Bersani presente in sala, elogiando il suo sacrificio in nome del partito, mettendo di lato i suoi personalismi in favore della comunità, permettendo a Renzi di diventare Premier e di ottenere il 40% alle europee.
Una sorta di mozione degli affetti a colui che non forzò la mano con Napolitano nel 2011 sostenendo il Governo Monti, sottostando alla pistola a forma di spread, che sostenne il Governo Renzi sul jobs act, preservando l’unità della cosiddetta “ditta”.
Dopo i tre candidati alla segreteria è la volta di esponenti come Massimiliano Smeriglio e Silvia Prodi.
Ma ormai è ora di pranzo.
Nel riprendere la strada di casa un compagno chiede: “Quindi? La fanno o no sta scissione?”
Un altro risponde: “Mica si è capito bene bene che faranno, di fatto stamattina hanno chiesto una conferenza programmatica prima del congresso, o dopo, poi il pieno sostegno a Gentiloni, poi lo spostamento del congresso più avanti”
Dalla faccia che fa quello che chiedeva lumi la risposta non si sa se abbia fugato i dubbi o li abbia accresciuti.
Ci salutiamo.
Mentre slego lo scooter improvvisamente capisco il messaggio subliminale che le immagini di Yoda volevano evocare: quando Luke Skywalker viene addestrato dal maestro jedi sul pianeta Dagogah per incitarlo a superare le sue paure lo esorta dicendogli -FARE O NON FARE, NON C’È PROVARE-.
Fin quando non si vorrà affrontare le questioni che dovrebbero essere affrontate, e si preferirà girarci intorno, non si vedrà luce. Non importa la forma, non importa il contesto, serve che si costruisca un percorso in cui questioni come il reddito, il lavoro, il diritto alla casa, rappresentino la struttura portante di un’offerta politica.
O si torna a discutere di questo o non lo si fa. Tertium non datur.
O ci si assume le responsabilità per quanto fatto in questi anni, chiedendo magari anche scusa, oppure il tema delle dinamiche interne non interesserà mai il giovane precario che non riesce nemmeno ad immaginare il proprio futuro, il lavoratore dipendente che ha perso il 38% del potere d’acquisto del suo salario, chi vorrebbe comprare casa ma non riesce a farlo perché in venticinque anni le annualità di stipendio necessarie per farlo, sono passate da nove a ventidue su quaranta circa di una vita lavorativa quotidianamente disastrata.
Quelle realizzate negli ultimi venticinque anni sono state sì riforme, ma che anziché migliorare la vita ai più hanno garantito se non accresciuto i privilegi dei meno.
Renzi ha molteplici responsabilità per tutto questo.
È però intellettualmente disonesto chi vorrebbe imputargli la degenerazione che la sinistra, il centro sinistra, il centro centro sinistra, ha imposto a se stessa e al paese.
Se non si ha la volontà di fare questo, il sabato mattina è meglio fare una passeggiata.