Beh diciamocelo, c’è vita su marte. Almeno così pare. Parrebbe infatti che nel nostro stanco, avvilito (per non dire stantio) paese ci sia una nuova e rigenerata voglia di masticare e respirare musica dal vivo, d’estate, all’aperto. Certo siamo sempre lontanissimi dall’avere palchi prestigiosi come quelli del Coachella, del Primavera o del Glastonbury (tanto per fare tre nomi a caso) e sinceramente non ce lo possiamo neanche lontanamente permettere (il perché ve lo spiega bene Vice in questo articolo), però è indubbio il fatto che stia nascendo e crescendo una rete importante e capillare di piccoli Festival.
Stanno spuntando come funghi in tutta la penisola e riescono a richiamare nei propri palchi interessantissime band nazionali e (soprattutto) straniere.
Lasciate alle spalle fondamentali e fondanti esperienze nate negli anni ’90 come quella di Arezzo Wave (col rimpianto che se avesse continuato per la sua strada a quest’ora altro che il Primavera) dell’Heineken Jammin’ (dal punto di vista numerico) o del bolognese Independent Days (che riusciva ad unire buona qualità e quantità) il nostro paese all’alba degli anni dieci si è ritrovato orfano di importanti eventi concertistici di matrice rock di una certa importanza e grandezza, della durata di più giorni consecutivi, in grado di riuscire a catalizzare l’attenzione del grande pubblico italiano e perché no straniero (cari amici miei mettetevi in testa che i festival sono una fonte di richiamo turistico nient’affatto trascurabile: provate a prenotare un buco a Barcellona per esempio nei giorni del Sonar, poi mi dite).
Mi si obbietterà, al netto della bontà delle varie programmazioni, che Pistoia Blues, Lucca Summer e Rock in Roma esistono e sono realtà affermate ormai da diversi anni, è vero, per carità… ma visto come sono spalmate le date nell’arco di mesi di palinsesto: date che prevedono al massimo esibizioni di un paio di band a serata, non possiamo certo annoverarli nella nostra categoria di cui sopra.
Eccoci quindi arrivati all’osso della questione. Il giovanissimo Lars Rock Fest di Chiusi, arrivato quest’anno a spengere la sua quinta candelina, può tranquillamente entrare nel novero di quella tipologia di Festival (di qualità e ricerca) del quale stavamo parlando. Insieme a realtà più consacrate come quelle del Siren di Vasto, del siculo Ypsigrock oppure con il Todays di Torino o il romagnolo Beaches Brew (faccio citazioni casuali), il Lars rock, grazie a una programmazione internazionale di tutto rispetto, può essere considerato una delle realtà più interessanti del nostro paese; e se, restringiamo ulteriormente il campo ai soli festival gratuiti, lo possiamo mettere tranquillamente nella piazza d’onore (ovviamente insieme all’altro nostro prodotto DOP locale, cioè Acquaviva) dei miglior eventi musicali di qualità esistenti nel belpaese (vi giuro non sto facendo del bieco campanilismo di provincia, se avete il coraggio smentitemi).
S’incomincia l’8 Luglio con Giungla, la one-woman-band messa in piedi da Emanuela Drei, voce dei mitici Heike Has The Giggle. Emanuela si prende una pausa di riflessione dalla sua punkeggiante band e cesella sinuose ed eteree ballatone dream pop che si contrappongono a brani ritmicamente più movimentati, di chiara matrice synth-punk. In fase live basi elettroniche e chitarra sono l’accompagnamento ideale usato dalla loner Giungla.
Da Pesaro invece arrivano i Brothers in Law. Tra basi indie-troniche che ricordano un po’ i Beach House, tenue psychedelia chitarristica dai colori pastello che fa pensare a band come Real Estate e approcci vocali lo-fi alla Allah-Las o The Glowers, i ragazzi marchigiani detengono realmente una spiccata sensibilità internazionale che li rende molto al passo coi tempi negli ambienti noise-pop e “molto poco italiani”, come direbbe Stanis La Rochelle, perciò appetibili anche per un pubblico più ampio.
Headliner della serata gli strepitosi SUUNS. Ho visto i canadesi suonare nell’ultima edizione del Primavera Sound e, non solo per il sottoscritto, sono risultati tra i live più intensi e appassionanti dell’intero (mastodontico) roster del festival. Scusate se è poco. Il live dei Suuns è un coacervo di suoni e colori che non ti si levano di dosso neanche a distanza di giorni; un incessante groove sonico carichissimo, narcotico e nebuloso che diventa pura gioia per gli orecchi. Ho toccato quasi l’orgasmo sull’esibizione del pezzo Translate, lì dove psichedelia, dance malata e stati di ipnosi profondi si fondono e confondono, raggiungendo il loro zenit sonoro. Imprescindibili
.
Il 9 luglio tocca ai The Raunchies aprire le danze. Nel vero senso della parola visto che i romani sono fautori di un rock’n’roll/beat massiccio e altamente ballabile. Un reviaval garage/surf anni ’50 impomatatissimo costituito da chitarre fiammanti e balli condotti da gioventù ormai bruciate per sempre.
Sono olandesi invece i bei tenebrosi zZz. Sono molto curioso di vedere questo strampalato duo dal vivo e di capire come vengono resi gli intensissimi brani elettro-acustici di questa band che si muove in indeterminati lidi che confinano tra rock e dance IDM. Me li immagino godibilissimi, non ho dubbi.
Ci presentano l’ultimo Nocturnal Koreans (uno degli album più belli per ora del 2016, NDA), gli inossidabili alfieri del post-punk inglese, i Wire, nella loro unica data in Italia. Nati nel pieno del boom del Punk londinese ’76/77, la band ormai si assurge nel panorama internazionale come una delle più prolifiche, longeve e seminali di tutta la storia del rock. Nati punk ma evolutisi musicalmente nel tempo in una forma di avanguardia molto sofisticata sfociata nella new wave di fine settanta, i dischi dei Nostri (dal primo Pink Flag al penultimo Wire passando dal capolavoro 154) negli anni non hanno conosciuto, qualitativamente parlando, battute d’arresto. Questa sera a Chiusi passerà la Storia, un peccato lasciarsela scappare.