Ebbene, voglio dirvi subito che stiamo per parlare di un libro diverso dal solito. Attenzione, non ho detto più bello del solito. Può piacere o non piacere, ma diverso lo è di sicuro. È un libro nuovo e vecchio allo stesso tempo, con radici letterarie profonde, ma anche con una folta chioma di foglie verdi appena spuntate. Lo ha scritto un ragazzo delle nostre parti che parla (e scrive) la lingua dei ragazzi del nostro tempo (e solo per questo mi pare che valga già la pena di leggerlo).
Sto parlando di “Trovami un modo semplice per uscirne” di Nicola Nucci che dopo essere stato finalista al Premio Italo Calvino 2018 (e scusate se è poco) ha trovato finalmente la meta della pubblicazione, dopo un percorso abbastanza tortuoso, grazie al coraggio di Dalia Edizioni di Terni.
In effetti per forma, stile e contenuto l’opera di Nucci appare di difficile collocazione all’interno delle consuete griglie di classificazione libraria. Un po’ romanzo e un po’ testo teatrale (o forse, meglio ancora, cinematografico) si presenta come un lungo e caotico dialogo tra due giovani intrisi da una sorta di scanzonata noia esistenziale.
Il riferimento letterario più diretto (e non sono certo il primo a dirlo) è senz’altro “Aspettando Godot” di Samuel Beckett di cui Nucci con la beata incoscienza di un equilibrista che cammina su una corda senza rete (resa possibile probabilmente dalla giovane età), riesce a riprendere e attualizzare le atmosfere e, in parte, anche le tematiche, il tutto con uno stile fresco e dotato di un ritmo e una musicalità che possono apparire casuali, ma che invece sono sicuramente il prodotto di un notevole sforzo creativo.
Il libro, volendo continuare sulla falsariga della similitudine col testo teatrale, si compone di quattro parti o atti (Una stella cometa; Un grande varietà; Il Messia; Canta pure tu) attraverso i quali, con l’immancabile sottofondo di musica, bevute alcoliche e qualche spinello, si procede velocemente verso un finale rivoluzionario (la definizione non è casuale e il lettore avrà modo di accorgersene da solo).
In definitiva, un’opera prima interessante, anche se talvolta un po’ dispersiva, che fa intravedere in filigrana un talento autentico e, quel che più conta, originale, specie se messo a confronto con un panorama delle patrie lettere che invece è spesso asfittico e ripetitivo. Non ci resta che attendere Nicola Nucci alla prossima prova, augurandogli di sapersi ripetere e migliorare.
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