Potrebbe sembrare, come ammette lo stesso autore, che sia ancora presto per un libro su questo strano e drammatico periodo che stiamo vivendo. In effetti l’epidemia, come tutti sappiamo, non è stata ancora definitivamente sconfitta e il timore e l’angoscia di questi ultimi mesi sono ancora ben presenti intorno a noi.
Eppure, a dispetto di tutte queste ragionevolissime riflessioni, Chevillard decide di immergersi in apnea dentro quel mare oscuro e lo fa col suo stile inconfondibile fatto di cuspidi ironiche ed improvvise amarezze, di ansiose introspezioni e declamazioni da consumato istrione. E così, passo dopo passo, ripercorre in questa cronaca pressoché quotidiana l’intero repertorio di emozioni e sentimenti invasivi e contraddittori che ognuno di noi ha sperimentato durante questa lunga clausura.
È una sorta di strano gioco dei vasi comunicanti in cui le notizie esterne penetrano dentro la tana (e la mente) del vulcanico autore per uscirne radicalmente trasformate nella loro essenza, divenendo materia narrativa allo stato puro. Così, ad esempio, gli inceppi burocratici e la difficoltà nella gestione governativa della pandemia (dalle quali si deduce che tutto il mondo è paese) trovano sfogo nel dialogo muto con un piccolo ragno, trasfigurato in mascotte casalinga. Lo striminzito giardino diventa una specie di giungla salgariana, i vicini riemergono dai loro rifugi come uomini preistorici dalle caverne del Pleistocene.
Alla fine, il vero miracolo letterario è che, nonostante il continuo alchemico passaggio tra realtà e fantasia, il lettore di questo tempo straordinario non può fare a meno di riconoscersi nella descrizione che ne fa Chevillard e si immedesima con naturalezza nelle peripezie della voce narrante, nel suo giocoso vagare dentro una stanza chiusa, nel suo geniale delirio solitario. Siamo noi, in definitiva, i veri protagonisti della sua cronaca, noi, i cosmonauti della paura e della noia che (forse) stanno finalmente tornando al vecchio mondo che il virus aveva reso inabitabile.
Éric Chevillard è nato nel 1964 a La Roche-sur-Yon e, come recita non senza ironia il suo sito, “ieri il suo biografo è morto di noia”. Si tratta indubbiamente di uno dei massimi scrittori francesi contemporanei, che ha saputo suscitare il vivo interesse di critica e pubblico, anche all’estero. Ideatore del fortunatissimo blog letterario, L’Autofictif, ha nel corso degli anni ottenuto diversi e prestigiosi premi, come il PRIX FÉNÉON, Il PRIX WEPLER, il PRIX ROGER-CAILLOIS, il PRIX VIRILO e il PRIX VIALATTE per l’insieme della sua opera. Molti dei suoi capolavori sono tradotti, in inglese, spagnolo, tedesco, russo, croato, romeno, svedese e cinese. Nel 2013, la traduzione di un suo romanzo, Préhistoire(1994; Prehistoric Times), si è aggiudicata il Best Translated Book Award – premio statunitense assegnato dalla rivista “Open Letters” e dall’università di Rochester. Ha scritto oltre venti opere – volendo menzionare solo i romanzi – pubblicate dalla leggendaria casa editrice francese Les Éditions de Minuit, diventata grande con Samuel Beckett e il Nouveau Roman. Sul riccio è il primo testo in assoluto pubblicato da Prehistorica Editore, ed è a oggi il terzo romanzo dell’autore edito in Italia: tutti sono stati tradotti da Gianmaria Finardi.
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