Solo sei secondi, pochi fotogrammi di un vecchio filmato in bianco e nero irrompono casualmente nella vita dello scrittore, lui che non guarda mai la televisione e che probabilmente non sa neppure il titolo del programma che viene trasmesso di fronte ai suoi occhi increduli. Infatti in quelle immagini in cui si vede un uomo che viene tratto in arresto da due agenti della Gestapo nazista, egli riconosce immediatamente suo padre.
Comincia così “Papà”, ultima opera di Regis Jauffret, scrittore e drammaturgo francese assai più noto in patria che in Italia, tradotta e pubblicata dalla casa editrice Clichy di Firenze.
Sembrerebbe l’inizio di un thriller, uno di quei libri in cui l’azione si dipana attraverso continui colpi di scena che tengono il lettore attaccato alle pagine. Ma non è così ed è un bene.
Siamo di fronte invece ad un testo intimista in cui l’autore svela, con grande sensibilità e uno stile preciso e affilato, molto di più che il solito dozzinale mistero. Jauffret in realtà mette a nudo se stesso (è questo che fa in genere la vera letteratura) e il suo rapporto col padre, lungo un percorso interiore nella memoria compiuto con fatica e non senza dolore.
Il ritratto paterno che ne deriva, spietato e privo di ogni sdolcinatura, è quello di un genitore distante, incapace di empatia e difficile da amare. Un uomo segnato da una pesante disabilità (è sordo) che tracima la dimensione fisica per sommergere anche quella psicologica e spirituale.
È stato un eroe? O un delatore? Quelle immagini saranno in grado di riscattare le sue mancanze? Oppure sarà semplicemente necessario per lo scrittore accettare che anche un padre è una persona normale, con i suoi difetti e i suoi pregi, spesso nascosti dietro il muro dell’incomunicabilità generazionale?
Sono queste alcune delle domande a cui il testo tenta di rispondere, ma le più importanti e le più difficili sono altre. È sufficiente il vincolo di sangue per unire per sempre anime ed esistenze diverse? E quanto di ciò che ricordiamo corrisponde davvero a ciò che è accaduto? E infine, quanto è giusto giudicare una vita intera a partire da un singolo episodio?
Non tutte le domande troveranno risposta, ma alla fine il rapporto tra questi due uomini, lo scrittore che ha creato il personaggio del padre e il genitore che ha messo al mondo il figlio, ne uscirà in qualche maniera risolto, anche se solo nel modo approssimativo e imperfetto in cui si possono decifrare le vicende umane.
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