Il libro di cui trattiamo oggi è stato scritto nientemeno che da un Premio Nobel per la Letteratura di cui costituisce l’ultima fatica. Potrà sembrare strano dunque ai miei quattro lettori che io lo abbia scelto per recensirlo in questa rubrica, ma in verità, nonostante il nome altisonante dell’autore che fra poco dirò, esso ha tutte le caratteristiche che mi sono prefisso all’inizio di questa piccola avventura e rientra pienamente nei confini che mi ero dato.
In effetti Chiarelettere, nata nel 2007, è una casa editrice di medie dimensioni prevalentemente orientata verso la saggistica con un taglio, diciamo così, controcorrente (tra i suoi autori G. Nuzzi, M. Travaglio, M. Corona ed altri) che molto recentemente, nel 2014 per la precisione, ha deciso di ampliare il suo catalogo con la collana “Narrazioni” che, come si legge sul suo sito internet, “pubblica libri di letteratura e verità in cui la fiction diventa un mezzo per raccontare quanto non riesce il giornalismo, e che ha suscitato enorme interesse e pure aspre polemiche.” In questa nuova collana sono ospitati nomi di primo piano della nostra letteratura come Andrea Camilleri e come l’autore di cui stiamo parlando, cioè Dario Fo. Su quest’ultimo credo che non ci sia bisogno di sprecare molte parole, visto che egli è senza dubbio conosciutissimo sia per le sue opere letterarie, sia per la forte esposizione mediatica che si concede da sempre, soprattutto in relazione alle opinioni politiche che esprime in assoluta libertà, riuscendo spesso a spiazzare i più autorevoli commentatori (oltre che il sottoscritto, per quel poco che conta).
Ma torniamo al nostro libro, il cui titolo è “Razza di Zingaro”. Ebbene, di cosa parla? Ancora una volta, per evitare di incorrere in cattive interpretazioni, mi affido alla sinossi ufficiale della casa editrice:
“Lui è Johann Trollmann (1907-1943), pugile sinti nella Germania nazista, il più bravo di tutti, ma c’è un particolare: è uno zingaro. La vita di Johann comincia subito di corsa, da quando, bambino, scopre la boxe e sale sul ring portando con sé i valori e la tradizione della sua gente, e guadagnando strepitose vittorie, una più emozionante dell’altra, con il pubblico (soprattutto femminile) in visibilio. Ma uno zingaro non è come gli altri tedeschi: come può rappresentare la grande Germania alle Olimpiadi del 1928? Le strade del successo ben presto gli vengono sbarrate, il clima politico peggiora, il nazismo travolge tutto, anche la sua vita e quella della sua famiglia. Non importa che Johann sia il più bravo, il titolo di campione dei pesi mediomassimi gli verrà negato, nonostante la vittoria sul ring. Da quel momento la sua vita diventa impossibile: prima il divorzio cui è costretto per salvare la moglie e la figlia, poi la sterilizzazione, la guerra cui partecipa come soldato e infine il campo di concentramento e l’ultima sfida, quella decisiva, contro il kapò, che vincerà, e per questo sarà punito. Con la morte.”
In genere, volumi come questi, vengono presentati durante la cosiddetta “Giornata della Memoria”, iniziativa utilissima e di grande impatto che ha però un unico grande difetto e cioè quello di legittimare in qualche modo l’idea che in tutti gli altri giorni ci si possa tranquillamente esimere dal ricordare storie drammatiche e commoventi come questa. Ecco perché io, nel mio piccolo, ho deciso di parlarne ora, perché ogni giorno deve essere il giorno della memoria e non può esistere un tempo della dimenticanza nei confronti della ferocia operata dall’uomo sull’uomo, si tratti di Lager, Gulag o Foibe noi abbiamo il dovere di tenere sempre a mente questi orrori per il semplice fatto che siamo esseri umani.
Il libro ha l’indiscutibile merito di restituire la straziante parabola umana di questo ragazzo di tanti anni fa senza retorica e sentimentalismo, aprendo ferite nell’animo del lettore attraverso la sola evidenza urticante dei fatti narrati. E’ un libro che consiglierei di leggere nelle scuole, soprattutto in quest’epoca in cui nuovi razzismi tornano ad affacciarsi in quella che credevamo essere la civile Europa.
Prima di concludere mi restano da dirvi ancora due cose. La prima riguarda i familiari di Trollmann che, a ottanta anni dalla sua morte, si sono visti ufficialmente consegnare dalla Germania la corona di campione dei pesi mediomassimi che era stata negata al loro congiunto. Un atto di pentimento certamente tardivo, ma comunque apprezzabile. La seconda riguarda le belle illustrazioni che ornano il volume di cui abbiamo parlato, anch’esse opera di Dario Fo. Un ulteriore motivo per non farvi sfuggire questo piccolo capolavoro.