Le premesse perché il libro di cui vi parlo oggi potesse piacermi c’erano tutte. In primo luogo un’autrice di valore, Elena Stancanelli, di cui avevo già letto altre opere, come Benzina oppure Un uomo giusto, che avevo apprezzato per la profondità delle trame e per l’agilità dello stile. Poi una nuova casa editrice, La nave di Teseo, verso cui provavo un’istintiva simpatia perché era nata per contrastare il nascente monopolio dell’editoria italiana derivato dalla fusione a freddo di Mondadori e Rizzoli (la “Mondazzoli”, così l’hanno definita i giornali con un pizzico di sarcasmo) e anche perché aveva avuto come primo ispiratore il grande Umberto Eco, da poco scomparso, cioè, a mio modesto parere, l’intellettuale contemporaneo dalla più spiccata vocazione internazionale che la nostra povera “italietta” poteva vantarsi di possedere.
Infine perché proprio questo libro, La femmina nuda, era stato inserito tra i 12 che si contenderanno il più prestigioso riconoscimento del panorama letterario italiano: il Premio Strega.
Invece, e lo dico con autentico rammarico, non mi è piaciuto per nulla. Innanzitutto perché la trama fin da subito appare fragile e anche un po’ banale. Si tratta della solita crisi di coppia, culminata nel tradimento da cui deriva l’inevitabile dramma dell’abbandono. Poi perché i personaggi risultano di scarso spessore, direi unidimensionali, senza sfumature e senza complessità. L’io narrante insicura ma tutto sommato sempre nel giusto, contrapposta all’amante sgualdrina e superficiale e a un personaggio maschile di puro contorno che non si capisce perché abbia tutto questo successo con entrambe le donne, visto che almeno a prima vista non sembra possedere alcuna particolare qualità. Il tutto condito da un linguaggio che più volte sfocia nella volgarità gratuita, strizzando l’occhiolino alla pornografia che, si sa, ha sempre una sua morbosa attrattiva ed aiuta a vendere.
Il punto di svolta dell’opera dovrebbe essere rappresentato, si noti l’uso non fortuito del condizionale, dall’ossessione che possiede la donna abbandonata e che la consuma tanto da farla rinunciare ad ogni residuo di dignità personale, fino a trasformarla in una specie di patetica stalker che spia i profili social dell’ex compagno e della sua nuova amante, si mette a pedinare quest’ultima e inizia addirittura a frequentarla personalmente. In effetti però il lettore non avverte mai la tensione e il dramma che probabilmente la scrittrice vorrebbe trasmettere, anzi al massimo riesce a provare solo un vago sentimento di pietà per una protagonista femminile che, pagina dopo pagina, ci propina continui stereotipi da paranoia adolescenziale.
Insomma, mi dispiace, sarà colpa mia, ma davvero non riesco a capire cosa ci abbiano visto coloro che hanno pensato che questo libro potesse gareggiare per vincere lo Strega. La mia impressione è che sia accaduto in questo caso ciò che spesso accade per i premi di ogni genere, non solo in ambito letterario, e cioè che, vista la buona produzione precedente di questa autrice, si sia voluta gratificarla candidando un’opera che però, almeno a me, non sembra affatto all’altezza della sua fama.