Prima o poi qualcuno più capace di me dovrà scrivere un libro sulla valenza rivelatrice del titolo in letteratura, ve ne sono di vari tipi: didascalici, descrittivi, metaforici, simbolici e così via praticamente all’infinito. Talvolta sono scelti direttamente dallo scrittore, più spesso sono suggeriti o addirittura imposti dalle case editrici e fanno parte della strategia di marketing che tutte costruiscono, con minore o maggiore efficacia, per promuovere e soprattutto vendere i libri pubblicati.
Ebbene, nel titolo dell’opera di cui vi parlo oggi sono già palesi, almeno in nuce, gran parte delle caratteristiche stilistiche di un testo scritto con una lingua lirica, di certo né semplice né dimessa, ma al contrario dal sapore forte e deciso, come le pietanze di quel meridione d’Italia dal quale in effetti proviene l’autore.
Il paese dei segreti addii recentemente uscito per i tipi di Hacca Editore è in effetti un titolo azzeccato quanto evocativo per un romanzo corale popolato da una pletora di personaggi portatori di un’umanità vera e dolente, ognuno dei quali è anche espediente narrativo e strumento interpretativo della piccola realtà quotidiana così come della grande Storia con la quale si intreccia: Geremia, le due Giuditte, Habel e Tobia, Michele lo sciancato, Rosina l’aggiustaossa, Mago Mingo lo sciamano, Ciccio lo zingaro, Catafero l’ubriacone visionario, don Fulgenzio Ammèn, il maresciallo Merluzzo, Cataldo il sordomuto, Cristobaldo il cantastorie.
Sullo sfondo, ma con la stessa dignità letteraria degli uomini e delle donne che lo popolano, c’è Pietrafiorita il paese arrampicato sull’Appennino che rappresenta insieme il brodo di coltura e il microcosmo nel quale le voci narranti e le vicende da loro vissute nascono, si sviluppano e muoiono. E infine c’è anche un usignolo dal canto divinatorio che insinua un elemento immaginifico e poetico nelle pieghe del racconto.
Talvolta l’asprezza della realtà irrompe, come un’eco che pare lontana, in questo mondo isolato ed antico, come nel caso dell’eruzione del Vesuvio o delle rivolte contadine, passando dall’8 settembre 1943 e giungendo fino alla tragedia di Marcinelle e anche se il rumore sembra attutito e distante è comunque capace di provocare sofferenza e far scorrere il sangue.
Insomma, un piccolo scrigno che contiene tante storie e tante voci diverse che si levano dalle pagine fino al lettore, senza imporre null’altro che non sia la vicinanza con i sentimenti, le gioie e i dolori comuni all’umanità di ogni tempo e che suggerisce più domande da interpretare che risposte da annotare, ma che proprio per questo parla forte all’orecchio della nostra modernità senza più certezze.